Il vertice del 12 giugno tra Kim e Trump è sempre più a rischio. Pyongyang offesa dall’accostamento con Gheddafi. Rottura tra Washington e Pechino sui dazi
Dopo le aperture gli insulti. Il vertice tra Trump e Kim del 12 giugno è sempre più in bilico. La Corea del Nord minaccia esplicitamente di farlo saltare se gli Usa restano legati ad «atti illegali e oltraggiosi». Choe Son-hui, vice ministro degli Esteri e volto forte della diplomazia del Nord con gli Stati Uniti, ha rilevato che il faccia a faccia tra il leader Kim Jong-un e il presidente Donald Trump dipende da «decisioni e comportamenti» di Washington. Nel mirino è finito poi il vicepresidente Mike Pence, accusato di commenti «ignoranti e stupidi» per l’accostamento tra Corea del Nord e Libia.
Le minacce di Pence
Il numero due dell’amministrazione Trump in un’intervista televisiva aveva minacciato Kim «di fare la fine di Gheddafi», in caso di mancata collaborazione nel processo di nuclearizzazione del Paese. Un avvertimento che ha suscitato le reazioni dure del regime, anche perché, notano alcuni analisti, l’ex leader libico rinunciò all’atomica proprio nella speranza di un accordo con l’Occidente.
Il fronte commerciale
La Cina «si oppone» all’abuso delle clausole sulla sicurezza nazionale per le indagini commerciali e promette di difendere «con risolutezza» i propri interessi rispetto a quelle avviate dall’Amministrazione Trump sulle importazioni negli Usa di auto e autocarri, che potrebbero portare all’introduzione di nuovi dazi. Lo ha dichiarato il portavoce del Ministero del Commercio di Pechino, Gao Feng, nel corso della conferenza stampa odierna.
La Stampa.it