Larry Elliott, giornalista economico eurocritico, in un editoriale: “L’Italia sta capendo che stare nell’euro è una maledizione, ma uscirne è anche peggio”
“William Hague una volta ha descritto l’euro come un edificio in fiamme senza vie d’uscita, e l’esperienza dell’Italia negli ultimi 20 anni dimostra che il leader conservatore era nel giusto”. Questo l’incipit dell’editoriale di Larry Elliott, giornalista economico di lungo corso del Guardian, molto critico sull’evoluzione della moneta unica e dell’Ue, che esce fuori dal coro di quanti, nella stampa internazionale, guarda con terrore alla prossima esperienza di Governo in Italia, guidata da M5S e Lega. Il titolo “Le politiche italiane hanno senso, sono le regole dell’Eurozona a essere assurde” dice già tutto sul contenuto dell’articolo. Il caso Italia diventa paradigmatico dell’analisi dello sviluppo dell’Ue, visto che si tratta di un Paese che “ha disperatamente voluto essere dentro la prima ondata dell’Unione monetaria”, ma poi si è dimostrato incapace di sottostare ai rigidi criteri finanziari che ne derivavano. “Il risultato: due decenni di economia in perdita, con standard di vita in regressione”. Altro risultato, una deviazione politica dai partiti tradizionali verso “una coalizione governativa di partiti populisti ed euroscettici – M5S e Lega”.
“Sebbene nessuna delle due forze della coalizione abbia alcun amore per l’euro, hanno già scoperto quanto vere siano le parole di William Hague. La loro prima bozza di contratto includeva la proposta per cui l’Ue avrebbe dovuto stabilire procedure di uscita dall’euro, laddove ci fosse una volontà popolare in tal senso, ma poi l’hanno cancellata” scrive l’editorialista del Guardian. “Non è difficile capire il perché” viste anche le reazioni immediate di timore dei mercati finanziari. “La Bce può aiutare ad acquistare titoli di Stato italiani, ma avrebbe certo meno incentivo a farlo con un Governo che a Roma rema contro – se non distrugge – l’unione monetaria”. L’effetto a cascata, prosegue il quotidiano britannico, sarebbe una crisi finanziaria, il collasso di un sistema bancario già in difficoltà, una profonda recessione dell’economia italiana, l’aumento ulteriore della disoccupazione. Insomma, “i populisti diventerebbero ben presto impopolari”.
Per questo il nuovo Governo italiano, prosegue Elliott, “è nella stessa posizione di tutti gli altri governi che hanno guidato l’Italia negli ultimi 20 anni: stare nell’euro è una maledizione, ma provare ad uscirne è anche peggio. Come la Grecia, l’Italia sta scoprendo che è appena un po’ tardi per dire che sarebbe stato meglio costruire l’euro con qualche uscita antincendio. È certamente più facile per i britannici – con la loro banca centrale e la loro valuta – lasciare l’Ue rispetto agli italiani con l’euro”.
Malgrado questo, “Il nuovo governo ha progetti per tasse e spesa che pongono una sfida al modo in cui la zona euro è stata gestita fino ad ora. Si parla di nuovo reddito per la cittadinanza, pensioni più generose, tasse più basse. Si stima che queste misure possano costare 60 miliardi di euro l’anno – qualcosa come il 3,5% del Pil italiano. Tutto questo potrebbe buttare all’aria le regole dell’Eurozona, che impongono stretti vincoli di bilancio”, specie per un paese come l’Italia che rischierebbe di vedere il debito salire fino al 150% del Pil. “La prospettiva di un deciso allentamento della policy spaventa i mercati finanziari e non piace alle altre capitali europee. Ma in realtà, le politiche di bilancio della coalizione hanno senso. Il vero problema risiede nelle regole dell’eurozona assurdamente deflazionistiche”.
Il paragone che viene fatto è con il Giappone, specie per l’alto debito e la situazione bancaria, ma “l’Italia è in una posizione peggiore proprio per le regole dell’Eurozona” che non consentono di operare a deficit. L’Italia ha però un indebitamento complessivo – debito e privato, inferiore a Gb, Francia e Spagna, ma è frenata da regole che riguardano solo il debito pubblico.
L’Italia diventa una sfida per la tenuta della costruzione europea, per chi in questa fase la guida come Emmanuel Macron e Angela Merkel. “Il rischio non è che un paese salti fuori dall’edificio in fiamme ma che l’edificio finisca per collassare con tutti dentro” conclude l’editorialista del Guardian.
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