I conti del primo trimestre. Il consolidamento del polo pubblicitario porta in dote 482 mln. Il futuro passa per Universal music: nuovi assetti allo studio
Vivendi archivia il primo trimestre dell’anno con un fatturato di 3,1 miliardi di euro, in crescita del 16%, grazie soprattutto al consolidamento del gruppo pubblicitario Havas. Operazione che ha portato in dote 482 milioni di euro. Ma, a livello di ricavi, i contributi più importanti al gruppo guidato dall’imprenditore bretone Vincent Bolloré sono arrivati di nuovo dall’etichetta Universal music group (giro d’affari da 1,2 miliardi di euro, giù del 4,8%) e soprattutto dalla pay tv Canal+ (quasi 1,3 miliardi di euro, su del 2,1%). Havas, invece, ha mosso un business da 482 milioni di euro.
Anche se in Italia la campagna dei francesi non sembra ottenere i frutti sperati, tra il fondo Elliott che ha conquistato il board di Tim (di cui Vivendi è socio al 24%) e la querelle giuridica con Mediaset sul mancato acquisto della pay tv Premium, complessivamente Vivendi «è fiduciosa sull’evoluzione delle sue principali attività per il resto del 2018». Ma tant’è che Bolloré ha preferito comunque rafforzarsi in Vivendi salendo al 24% e, proprio mentre il polo europeo dei contenuti in chiave anti-Netflix stenta a decollare, non mancano i progetti di Vivendi su Universal music group che, giusto per avere un’idea, detiene i diritti delle colonne sonore di film come La La Land, Moana, Cinquanta sfumature di nero, Black Panther e si sta allargando in Asia acquisendo i diritti di alcuni importanti artisti orientali.
Sul tavolo per Universal music group c’è l’ipotesi di vendita, secondo passate indiscrezioni di stampa, o più verosimilmente la cessione di una parte o ancora la quotazione (da definire i termini). E’ comunque «una parte fondamentale del gruppo e ha un grande potenziale. La vendita non è in programma», ha confermato ieri l’a.d. di Vivendi Arnaud de Puyfontaine. Del resto è proprio Umg che ha un suo valore, assicura da tempo la buona salute del colosso transalpino e rappresenta un tassello importante nell’ecosistema del gruppo. A complicare le previsioni sul futuro di Universal, poi, c’è anche una quota della stessa Universal in Spotify, piattaforma di musica on demand. Però de Puyfontaine ha chiarito che la partecipazione non sarà ceduta. Almeno non subito probabilmente visto che i conti, e quindi la quotazione del titolo, di Spotify non hanno ancora soddisfatto gli analisti e da un punto di vista industriale tutto il settore della musica in streaming è in subbuglio. Quindi meglio aspettare che la visuale si faccia più nitida.
La musica fa comunque il paio con l’esperienza e i contenuti televisivi di Canal+, che dopo tempo consolida la sua crescita e si rafforza anche sul mercato nazionale. Nei primi tre mesi dell’anno i nuovi abbonati sono 620 mila, raggiungendo complessivamente quota 15,3 milioni. Stesso trend seguito, con ricavi su del 19,2%, dalla casa di produzione di contenuti Studiocanal. Stando al piano di espansione di Canal+, gli Stati Uniti tramite l’accordo con Direct tv, la Germania con Deutsche Grammophon+ channel (canale tv realizzato per l’appunto in sinergia con Universal music group) e ancora l’Africa (dove gli interessi della famiglia Bolloré sono soprattutto a livello logistico) sono solo tre esempi di mercati internazionali nel mirino.
Ieri il titolo ha chiuso alla Borsa di Parigi giù dello 0,47% a 23,2 euro.
Italia Oggi, Marco A. Capisani