Se ne fa un gran parlare e molti lo considerano un obiettivo irrinunciabile. Eppure lo smart working, il lavoro da casa con orari più flessibili e tempi meglio distribuiti, rimane ancora un miraggio. Nel nostro Paese sono in molti a puntare su questa nuova formula lavorativa, le aziende allo stesso tempo si stanno aprendo sempre di più a questa nuova via, ma il 65% degli occupati lavora ancora in modalità tradizionale. Questo nonostante quasi nove dipendenti su dieci (84%) abbiano detto di apprezzare la smart working perché migliora la creatività, la produttività e la soddisfazione sul posto di lavoro. L’84% degli interrogati crede che aiuti a mantenere un buon equilibrio fra lavoro e vita privata.
I numeri li ha dati l’ultimo Randstad Workmonitor (l’indagine trimestrale sul mondo del lavoro di Randstad), dedicato alle modalità di lavoro e all’equilibrio fra vita professionale e privata, che sfata anche un luogo comune molto diffuso: l’indagine ha rivelato infatti che le donne, divise tra lavoro e cura della famiglia, in realtà sono più prudenti nell’adesione al lavoro “agile”. Nel nostro Paese preferiscono, infatti, lavorare in ufficio più degli uomini (+10%) e sono meno propense a considerare lo smart working utile all’equilibrio tra lavoro e vita privata (-11%). Questo nonostante siano meno libere di organizzare e gestire il proprio lavoro (-10% rispetto agli uomini) e più dipendenti dalle indicazioni di un superiore (+8%).
«Lo smart working in Italia è una realtà estremamente dinamica e in trasformazione che coinvolge quasi la metà dei lavoratori intervistati, con alcune imprese che già stanno effettuando la transizione dall’impiego tradizionale a quello agile ed altre che stanno applicando forme di flessibilità che riguardano il luogo e l’orario di lavoro – dichiara Valentina Sangiorgi, Chief HR Officer di Randstad Italia –. Tuttavia, nonostante la maggioranza degli italiani guardi con favore allo smart working, due terzi dei dipendenti lavorano ancora esclusivamente in ufficio e quasi uno su due teme che il lavoro agile possa avere ripercussioni negative sulla propria vita privata. Un segno che c’è ancora una barriera culturale da superare e che le imprese devono ripensare l’organizzazione del lavoro per consentire a tutti i dipendenti l’accesso a forme di flessibilità lavorativa e a un corretto equilibrio fra vita professionale e tempo libero».
S. R., La Stampa