Sacrificare la regina, per salvare il re. Una mossa che gli scacchisti sono costretti ad abbracciare in situazioni disperate. Ma la scelta dolorosa a volta si presenta anche in politica, come ben sa il neo presidente lombardo Attilio Fontana, alle prese con la “questione Trenord”, la società del Pirellone titolare del trasporto pubblico locale su rotaia. Una società pubblica dai bilanci in utile, ma dalle performance pessime, come ognuno dei 350 mila pendolari lombardi sa bene.
Il re che Fontana ha scelto di salvare è il leghista Andrea Gibelli, presidente della holding regionale Ferrovie Nord Milano (Fnm). La regina destinata alla capitolazione è Cinzia Farisè, ad della controllata di Fnm, Trenord. La sentenza di condanna per la manager Fontana l’ha affidata a Twitter il 25 aprile 2018, subito dopo la pubblicazione del bilancio della società: «Trenord: conti ok ma vorrei treni in orario. È più importante che i cittadini siano contenti, non che ci siano dei buoni conti. Situazione molto difficile, bisogna fare qualcosa per migliorare».
Tradotto: non mi colpiscono i ricavi operativi in crescita (da 766 milioni a 804 milioni, più 5%) e l’utile netto a 10,5 milioni (+14%), se poi ogni giorno migliaia di pendolari restano a terra e si lamentano per le soppressioni e i ritardi. Una campana a morte per Farisè, la manager chiamata da Roberto Maroni nell’ottobre 2015 (dopo i rifiuti ricevuti da altre due candidate: Laura Cavatorta e Lucia Morselli) per subentrare all’allora ad, Luigi Legnani. Lei è la pedina sacrificabile per espiare gli innumerevoli disservizi registrati dopo l’incidente di Pioltello (per il quale Farisè è indagata) e lo scandalo seguito alla pubblicazione da parte di Business Insider Italia del rapporto di Ansf (Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria) nel quale si elencavano tutte le mancanze della società.
Non importa se solo nel giugno scorso Cinzia Farisé era stata riconfermata in carica per altri tre anni con uno stipendio di 300 mila euro tondi l’anno e un contratto blindato. Se infatti verrà rimossa prima della naturale data di scadenza del mandato, come si legge nella Relazione sulle Remunerazioni del 2017, “FNM si obbliga ad offrire alla stessa una nuova posizione dirigenziale” garantendole “per il periodo intercorrente tra la data di effettiva cessazione dell’incarico di Amministratore Delegato in Trenord e la data di naturale scadenza della carica, un importo complessivo derivante dalla somma dei seguenti elementi:
(i) l’ammontare complessivo della retribuzione annua lorda;
(ii) l’indennità per ufficio organico; nonché
(iii) la misura massima del premio annuo di risultato che avrebbe potuto maturare alla data di naturale scadenza dell’incarico”.
Trecentomila euro, appunto. Se invece Farisè non dovesse accettare il lavoro, Fnm le corrisponderà “il trattamento sopra individuato, composto dagli elementi sub (i)-(iii) che precedono, computati per il periodo intercorrente tra la data di effettiva cessazione dell’incarico di Amministratore Delegato di Trenord e la data di naturale scadenza dalla carica, verrà aumentato del 30%, a cui verranno aggiunte otto mensilità computate sulla base degli elementi sopra esposti”. Insomma, non male come licenziamento per la manager di una società che non funziona, peccato solo che i soldi in ballo siano quelli delle tasse dei lombardi.
Ma il tweet di Fontana dice anche molto altro. Decidendo il 26 aprile 2018 di riconfermare Gibelli alla guida di Fnm, Fontana si è dimostrato fiducioso nel fatto che i giudici del tribunale di Milano non lo condanneranno a un anno di reclusione e a 800 euro di multa come chiesto dal Pm Fusco nel processo a carico dell’ex presidente Maroni. Così come è convinto che l’indagine per aggiotaggio aperta sempre dalla Procura di Milano contro Gibelli e il vice presidente di Fnm, Gianantonio Arnoldi, a seguito dell’infausta intervista rilasciata dallo stesso architetto leghista sulla fusione tra Trenord e Atm (poi naufragata) a mercati aperti, si risolva nel nulla.
Ma non è finita. Aver confermato Gibelli, significa che il nuovo capo della Lombardia ne ha promosso le politiche economiche. Fontana ha così sottoscritto linee di sviluppo che vedono Fnm allargare il proprio campo d’azione al di fuori della Lombardia, investendo in società che nulla hanno a che fare con i trasporti lombardi (con buona pace dei pendolari, i quali vedono i loro soldi dirottati su società venete o liguri, invece che sull’acquisto di treni decenti).
Tra le decisioni più discusse di Gibelli, si ricorda quella di acquistare nel 2017 il 50% di Atv, l’Azienda Trasporti di Verona, per 21 milioni di euro, quando la base d’asta era di soli 12,5 milioni, come denunciato da Business Insider Italia. Per molti un favore fatto dalla Lega della Lombardia ai fratelli veneti impegnati nella lotta contro lo scissionista Tosi.
Oppure l’investimento di 1,34 milioni di euro per il 49% di FuoriMuro, la società che gestisce le manovre ferroviarie nel porto di Genova, una quota che potrà salire al 70% nel 2020, qualora a FuoriMuro venga rinnovata la concessione del servizio di manovra portuale, ad un prezzo che sarà stabilito per perizia. Gibelli aveva giustificato quell’operazione con la volontà di potenziare la presenza di Fnm nel settore cargo (dove già opera attraverso la partecipata DB Cargo Italia). Senza però spiegare quale sarebbe l’utilità per il pendolare lombardo a entrare nel mercato dei container provenienti dal porto di Genova.
Così come il pendolare di Mortara potrebbe non comprendere il motivo per il quale Fnm il 29 settembre 2017 ha rilevato (sempre da FuoriMuro) il 51% del capitale della società Locoitalia S.r.l. per 4 milioni di euro. La società dovrebbe comprare e noleggiare materiale rotabile. Una beffa, se si pensa che i guai maggiori per i pendolari lombardi dipendono dai treni vecchi e mal manutenuti operanti sulle linee locali.
Insomma, Fontana sembra abbracciare scelte che mirano a far diventare Fnm una piccola Fs del Nord. Una holding del trasporto ferroviario a tutto tondo, che si espande con i soldi che il Pirellone pompa nella sua holding in primis per trasportare in maniera dignitosa i pendolari, ma che vengono, evidentemente, dirottati su altri scopi.
Un disegno già percorso in passato dai vertici di Fnm, quando l’allora ad di Trenord Giuseppe Biesuz fece di tutto per comprare la società di trasporti torinese (prossima al fallimento) Gtt per oltre 60 milioni. La consegna data a Biesuz dall’allora presidente lombardo Roberto Formigoni era di creare una grande società di trasporti che unisse tutto il Nord, il nocciolo della macroregione invocata dai leghisti quando ancora erano indipendentisti. Quell’operazione sfumò solo per l’opposizione di alcuni consiglieri di Fnm che, pur leghisti, si misero di traverso e dall’arresto dello stesso Biesuz. Ora quel disegno egemonico sembra tornare in auge, grazie al tandem Fontana–Gibelli.
Lorenz Martini, Business Insider Italia