«Sono stanco di ripetere che sono speculativi, che sono come il gioco d’azzardo. Oppure: state attenti, è una bolla. Adesso è il momento di dirla tutta: i bitcoin sono una truffa». Non usa giri di parole William Harris jr, fondatore di Personal Capital Corporation, una società di gestione del risparmio che offre servizi di investimento e di finanza personale, ma soprattutto ex ceo di PayPal, tra i sistemi di pagamento online più diffusi del mondo. In un intervento apparso di recente sulla rivista online «Recode» Harris sintetizza il suo credo contrario alle criptovalute. E lo fa smentendo i tre luoghi comuni più diffusi.
Tre luoghi comuni da sfatare
Non sono un mezzo di pagamento. I bitcoin, afferma Harris, non vengono accettati quasi da nessun parte e alcune criptovalute non sono accettate da nessuno punto e basta. Del resto è evidente, argomenta il manager, che una valuta il cui valore può subire oscillazioni al rialzo o al ribasso superiori al 10% in un solo giorno non è utilizzabile per delle normali transazioni commerciali. Da smentire anche il luogo comune secondo cui i bitcoin sono dei “salvadanai virtuali”. Ovviamente per le stesse ragioni: una valuta così volatile non può essere considerata uno strumento per conservare la ricchezza. Ma c’è anche una ragione in più: le piattaforme di scambio delle criptovalute sono di gran lunga meno affidabili e sicure delle banche ordinarie e dei broker. Infine c’è la teoria del «valore intrinseco». «I bitcoin, sentenzia Harris, non hanno alcun valore intrinseco. Il loro valore deriva soltanto dalla convinzione di molti di poterli rivendere in futuro ad un prezzo più elevato.
Economia del crimine
L’unica vera funzione dei bitcoin, a questo punto, rimane quella di strumento di regolamento per le transazioni criminali. Il fatto che le transazioni siano anonime e che anche gli strumenti di controllo facciano molta fatica a individuare chi siano gli effettivi acquirenti e venditori fa sì che l’utilizzo dei bitcoin sia un terreno privilegiato per chi vuole commettere azioni illegali. Il fatto che tra i principali utilizzatori di bitcoin ci siano organizzazioni criminali come Silk Road e WannaCry, che puntano ad estorcere un riscatto dalle aziende in cambio della riconsegna dei dati societari trafugati (ramsonware) spiega con eloquenza chi siano i veri beneficiari dei bitcoin. Anche gli hackers si stanno specializzando sul furto dei bitcoin: circa il 90% delle operazioni di hackeraggio si sta concentrando sul furto di dati provenienti dalle operazioni di «mining» realizzate per «estrarre» i bitcoin.
Tempi e costi
Il giudizio negativo si estende, secondo Harris, a tutte le criptovalute e al danno che ne deriva per la massa dei piccoli speculatori attratti dal miraggio dei facili guadagni. Una ricerca di Ernst&Young stima per esempio che le circa 1.500 criptovalute oggi esistenti, il cui «valore» complessivo si aggira sui 450 miliardi di dollari, abbiano consentito ai truffatori di rubare almeno il 10% della raccolta. L’antieconomicità dei bitcoin come strumento di pagamento, infine, è resa evidente dai costi e dai tempi delle transazioni: è necessaria circa un’ora per avere la conferma che una transazione in bitcoin sia stata effettivamente registrata mentre il costo di una operazione del controvalore di 100 dollari richiede una commissione di 6 dollari, contro la gratuità o i pochi centesimi di una normale transazione bancaria online.
Eppure…
La critica alle criptovalute potrebbe andare avanti a lungo. E investire gli aspetti ambientali connessi alla natura «energivora» della creazione (mining) dei bitcoin attraverso computer sempre più potenti. Eppure nonostante le critiche, la chiusura di piattaforme importanti, gli scandali, la sostanziale messa al bando delle criptovalute in imporantissimi mercati asiatici, come la Corea, la valuta virtuale creata dal misterioso Satoshi Nakamoto sembra inaffondabile. Proprio ieri, in un incontro che si è tenuto a New York, l’ad del Nasdaq Adena Friedman ha dichiarato che un domani, «quando le criptovalute saranno meglio regolate», il Nasdaq potrebbe lanciare una sua piattaforma per gli scambi. Se questo avvenisse i bitcoin entrerebbero nel tempo della finanza ufficiale e sarebbero di fatto sdoganati. Ma quel tempo arriverà mai?
Marco Sabella, Corriere della Sera