Nonostante l’esiguità del periodo concesso per stare vicino alla neo mamma e al bambino, solo il 30% dei lavoratori dipendenti ne usufruisce
Quattro giorni in tutto, più uno facoltativo da “detrarre” da quello materno: a tanto ammonta il congedo di paternità retribuito per i padri italiani (anche se fino all’anno scorso era di appena due giorni). Nonostante l’esiguità del periodo concesso per stare vicino alla neo mamma e al bambino, solo il 30% dei lavoratori dipendenti ne usufruisce. Il motivo? A differenza della donna, obbligata per legge a prendersi il congedo di maternità di cinque mesi, per i padri non esistono sanzioni, tanto che non è infrequente che questi ultimi preferiscano utilizzare le ferie, pagate al cento per cento. E proprio la retribuzione è uno degli ostacoli, oltre a resistenze di tipo culturale, che rende gli uomini italiani restii a utilizzare i sei mesi di congedo parentale. “Il problema è che, poiché solitamente è l’uomo a guadagnare di più, a prenderlo è soprattutto la donna”, spiega all’Huffington Post Daniela Piazzalunga, economista presso l’Università di Verona ed esperta di politiche di conciliazione. “La donna spesso utilizza i cinque mesi obbligatori più i sei di congedo parentale, esaurendo in questo modo i mesi retribuiti al 30%. A questo punto se il padre volesse prendere il congedo non avrebbe un euro di retribuzione. Ecco perché i padri che prendono il congedo parentale sono una piccola minoranza, anche se in aumento: oggi siamo al 18,4%”.
E all’estero? La soluzione per aumentare la percentuale di padri italiani che si assentano dal lavoro per stare a casa, però, ci sarebbe. Molti paesi europei l’hanno già messa in pratica, sia aumentando i giorni di congedo di paternità pagati al 100% sia alzando la retribuzione per i congedi parentali. Secondo i dati Ocse (ottobre 2017). la media europea dei giorni di congedo riservati ai padri (nella forma di congedi di paternità o congedo parentale a loro uso esclusivo e retribuito) è di ben otto settimane. Ma vediamo i singoli paesi: in Francia, ad esempio, i padri godono di due settimane di congedo di paternità remunerate al 100% – utilizzate infatti da ben il 62% dei padri – più altre 26 settimane pagate però il 14,5%. Più basso del nostro, invece, il congedo obbligatorio per le madri, 16 settimane, mentre quello facoltativo materno è identico ai padri. Due settimane di congedo pienamente retribuito anche per i padri estoni e danesi, mentre in Spagna le settimane salgono a 4, pagate sempre al 100% e prese infatti dal 75% dei padri. Stesso numero, quattro settimane, in Slovenia, dove invece le madri hanno 16 settimane di congedo pagato come lo stipendio e ben 37 ulteriori pagate al 90%. Anche il Portogallo si segnala per un congedo di paternità particolarmente generoso, 5 settimane pagate al 100%, più altre 17 al 43,6%.
Non esiste invece un congedo obbligatorio di paternità in Germania, dove però i padri possono facoltativamente usufruire di 12 mesi pagati al 65% dello stipendio (e le madri di 14 al 100% e 44 ulteriori al 65%). E poi ci sono, ovviamente, gli esempi più felicemente “estremi” di Svezia e Norvegia: 15 settimane ai padri svedesi pagati al 76% (il 71% dei padri svedesi usa il congedo per almeno due mesi), dieci settimane a stipendio quasi pieno per i papà norvegesi. Per quanto riguarda la madri, invece, la Svezia prevede circa 13 settimane di congedo obbligatorio pagato al 77,6%, più 43 settimane al 57,7%. Ancora più generosa con le mamme la Norvegia con le sue 13 settimane quasi al 100%, più altre 78 facoltative pagate al 41,3% dello stipendio.
Ma cosa concretamente cambierebbe se fossero introdotti congedi più lunghi e meglio retribuiti anche in Italia? “Ci sarebbero diversi vantaggi”, spiega sempre Daniela Piazzalunga. “Anzitutto, un aumento dell’occupazione femminile. Se i genitori si assentassero in modo simile al momento della nascite, non solo le donne troverebbero più facilmente lavoro ma ci sarebbe anche minore discriminazione da parte delle aziende, che oggi considerano le donne inaffidabili. Congedi più lunghi, inoltre, favoriscono una maggiore partecipazione dei padri alla gestione dei figli e anche, secondo alcuni studi, una maggiore condivisione di lavoro domestico a lungo termine. In pratica, si avrebbe un ribilanciamento nella divisione dei ruoli e nella gestione del lavoro domestico che potrebbe influire positivamente sia sulle donne italiane sia sui figli stessi: è dimostrato che il coinvolgimento dei padri aiuta lo sviluppo cognitivo dei figli, mentre un padre attivo rappresenta un modello positivo soprattutto per le figlie femmine, ma anche per i maschi”.
Parlano di rapporto diretto tra tempo dei padri e riduzione delle diseguaglianze tra bambini anche Alessandra Casarico, professore associato di Scienza delle Finanze alla Bocconi, e Alessandro Sommacal, economista dell’Università di Verona. “I congedi parentali”, scrivono i due esperti su Lavoce.info., “espongono i bambini a un minor rischio di crescere in famiglia in cui non solo sono poche le risorse finanziarie che si ricevono, ma anche le risorse in termini di tempo sono limitate”. Non solo: “Come dimostra il caso della Norvegia”, scrive sempre su Lacoe.info Alessandra Casarico insieme a Paola Profeta, professoressa di Scienza delle finanze alla Bocconi, “il congedo causa una maggiore partecipazione degli uomini alla cura dei bambini e migliori risultati scolastici dei bambini. Inoltre, riduce il conflitto nella coppia sulla divisione del lavoro domestico e ne ribilancia i carichi”.
Le due studiose indicano anche la direzione verso cui bisognerebbe andare per cambiare lo strumento dei congedi: “Due aspetti cruciali nel disegno del congedo di paternità sono la non scambiabilità con il congedo di maternità e l’obbligatorietà. Mentre sul primo il consenso è unanime – per essere efficace, il congedo dei padri deve essere esclusivo e non cedibile alla madre -, il secondo è in discussione”. In tutti i paesi dell’Unione Europea, con l’eccezione del Portogallo, il congedo di paternità non è una misura obbligatoria. “Ma di nuovo, l’esperienza norvegese mostra che, pur non essendo obbligatorio, la non scambiabilità garantisce che la quasi totalità dei padri prenda il congedo, visto che viene perso in caso contrario. C’è da chiedersi se lo stesso accadrebbe in un paese come l’Italia, dove la cultura di genere, sia degli individui sia delle imprese, è ancorata a una visione molto più tradizionale dei ruoli di uomini e donne rispetto alla Norvegia”.
Elisabetta Ambrosi, HuffingtonPost