Cresce la diffidenza del centrodestra verso gli schemi del Quirinale: punta solo sui grillini, tende a escluderci
Il Palazzo del Quirinale è piuttosto grande, abbastanza perché al suo interno non tutti la pensino allo stesso modo.
È nelle cose, dunque, che tra i consiglieri più stretti di Sergio Mattarella esistano sensibilità diverse rispetto alla gestione della crisi in corso. Di certo, c’è che il mandato esplorativo a Roberto Fico con il compito di verificare la possibilità di un’intesa tra M5s e Pd riporta le lancette indietro di cinquanta giorni, alle ore successive al voto. Preso atto dell’inevitabile stallo, infatti, nel Pd merito di qualche ministro di casa al Colle iniziò a filtrare una certa propensione del Quirinale per un governo a guida Cinque stelle che fosse sostenuto proprio dai dem. Un’indiscrezione che lo staff di Mattarella ha sempre respinto con forza, ma che fece andare su tutte le furie Matteo Renzi e che trova conferma non solo al Nazareno. D’altra parte, un governo del genere avrebbe il pregio di mandare a Palazzo Chigi quello che è risultato il primo partito nelle urne e al contempo di far entrare al governo il Pd, che rispetto all’Europa, ai mercati e pure alla politica estera è evidentemente un elemento stabilizzatore.
La pecca di un simile schema, con ogni evidenza, è quella di lasciare completamente fuori dai giochi il centrodestra che con il 37% dei voti è la prima coalizione della tornata elettorale. La stessa che domenica ha vinto le regionali in Molise e che fra cinque giorni quasi certamente conquisterà con ampio margine la presidenza del Friuli Venezia Giulia. Il problema ce l’hanno ben chiaro sul Colle, tanto che per 50 giorni si è atteso di capire se la convergenza tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini fosse davvero possibile. Persino con un supplemento di indagine di due giorni, visto che Mattarella avrebbe fatto slittare l’incarico a Fico a ieri pomeriggio proprio per concedere ai leader di M5s e Lega un ultimo week end di trattative.
Fallito almeno per adesso il tentativo di agganciare ai Cinque stelle la Lega, la partita si giocherà tutta sull’altro forno. Quello, appunto, del Pd, nel tentativo di verificare la possibilità di dar vita ad un esecutivo sull’asse M5s-Pd-Leu. Un’operazione complessa non solo perché restano i paletti di Matteo Renzi, ma anche perché i numeri sono nonostante tutto piuttosto risicati. M5s e Pd al gran completo possono infatti contare su 161 senatori, ai quali vanno aggiunti i quattro di Leu e qualcuno del misto: al Senato, insomma, senza alcuna defezione siamo di pochissimo sopra il fatidico quorum di 161.
Lo schema M5s-Pd, però, rischia di essere complicato anche per un’altra ragione. Nel centrodestra, infatti, seppure velate dalla deferenza istituzionale, si iniziano a cogliere le prime critiche verso un Quirinale che continua a considerare il M5s il perno della partita e questo nonostante il doppio veto di Di Maio non solo nei confronti di Forza Italia (in particolare di Silvio Berlusconi) ma anche di Fratelli d’Italia. Lo stesso approccio, fanno rilevare non solo tra gli azzurri, non è invece stato riservato alla coalizione di centrodestra che per giunta avrebbe dal punto di vista dei numeri parlamentari la strada più in discesa. Se al Senato al M5s mancano ben 52 voti per raggiungere la maggioranza, al centrodestra ne servirebbero infatti solo 24. Meno della metà. A torto o a ragione, dunque, inizia a trapelare un filo di scetticismo verso le mosse del Colle. Al Quirinale hanno ben presente il problema, al punto che c’è chi teme che Mattarella possa finire vittima di una sorta di «effetto Scalfaro». Il paragone è assolutamente inadeguato, perché come è noto Oscar Luigi Scalfaro fu un presidente interventista al punto era il 1994 da imporre all’allora premier Berlusconi un incontro a settimana per fare il punto sull’agenda di governo. Di quella stagione, però, è rimasta nella memoria l’ostilità dell’allora capo dello Stato nei confronti del centrodestra, al punto che nel successivo governo tecnico guidato da Lamberto Dini, Scalfaro riuscì a cassare tutti ma proprio tutti i nomi suggeriti da Berlusconi. Che solo dieci mesi prima aveva vinto le elezioni.
Adalberto Signore, Il Giornale.it