“La megalomania dei giornalisti è quasi sopportabile nella sua ingenuità”. (da È la stampa, bellezza! di Giorgio Bocca – Feltrinelli, 2008 – pag. 75)
Resa celebre da Humphrey Bogart nell’indimenticabile finale del film L’ ultima minaccia di Richard Brooks (1952), la battuta “È la stampa, bellezza!” chiude l’epico scontro fra il direttore di un giornale che sta per essere licenziato e un minaccioso gangster locale. Ma riassume più in generale il perenne conflitto in difesa della libertà di stampa dalle interferenze di tutti i poteri, politico, economico e giudiziario. Quella stessa frase dà titolo al pregevole saggio citato all’inizio, pubblicato nel 2008 da Feltrinelli, in cui già allora Giorgio Bocca rifletteva sulla crisi del giornalismo: tanto più attuale mentre quotidiani e settimanali, tranne rare eccezioni, vanno perdendo sempre più copie e autorevolezza. Dalla battuta di Bogart, prende spunto ora un curioso libretto di Cesare Lanza, giornalista di lungo corso e bastian contrario di vocazione, intitolato Ecco la (nostra) stampa, bellezza (Edizioni La Vela) che raccoglie, come recita il sottotitolo, “ritratti di giornalisti di oggi, alcuni di ieri, grandi e meno grandi” . Un centinaio di “medaglioni” della carta stampata e della televisione, tra cui anche il fondatore e il direttore di questo giornale, fino al sottoscritto. Con il “graffio” che lo contraddistingue, Lanza descrive e racconta i personaggi da lui scelti, per offrire in realtà una “foto di gruppo” e passare in rassegna il giornalismo italiano, con i suoi vizi e le sue virtù, “confidando – come lui stesso scrive nell’introduzione – di stimolare la curiosità di chi legge, suscitare ricordi, provocare confronti”. I ritratti dei colleghi, più o meno benevoli, sono divisi per categorie. E naturalmente, anche qui si tratta di una scelta del tutto arbitraria e opinabile: si va dai “giornalisti leggendari”, come certamente sono Arrigo Benedetti e Indro Montanelli, ai “direttori di potere” (ma quale direttore non lo è?); dai “politicamente intransigenti” ai “maestri del gossip” , fino alle “grandi firme femminili”, tra le quali figurano più che legittimamente Camilla Cederna e Oriana Fallaci. Una galleria di “mostri sacri”, insomma, all’interno della quale compaiono anche alcuni mostri e basta: di bravura, di abilità, di furbizia e perfino di opportunismo. E nella quale, come riconosce l’autore, mancano diversi colleghi che lui non ha avuto modo di incontrare nella sua vita professionale e che invece avrebbero meritato senz’altro una citazione. Fatto sta che il “ritratto di famiglia” proposto da Lanza riflette le luci e le ombre di una professione in declino, e non solo in Italia, per effetto della concorrenza televisiva e soprattutto di quella – spesso sleale – di Internet. Ma anche a causa dei propri errori, delle proprie debolezze e dei propri ritardi. Molte di queste colpe, per la verità, sono imputabili più agli editori e ai loro top manager che ai giornalisti. E non a caso all’origine della decadenza, c’è la progressiva estinzione del cosiddetto “editore puro”, immune da interessi estranei di natura imprenditoriale o finanziaria. Proprio da questa mutazione genetica deriva la conseguenza che ormai i giornalisti vengono omologati alla famigerata Casta e considerati parte dell’establishment, mentre dovrebbero svolgere un ruolo di contropotere: cioè di controllo dei poteri costituiti, alla maniera anglosassone del watch dog, ovvero del cane da guardia. La verità è che, al di là dell’avvento dei nuovi media e dei social network, quella della stampa è in primo luogo una crisi di fiducia e di credibilità.
Giovanni Valentini, dalla sua rubrica Il sabato del villaggio, Il Fatto Quotidiano