Ha creato un impero nel mondo pubblicitario, ma è scivolato sulla ‘buccia di banana’ dell’uso improprio di fondi aziendali: alberghi e cene, nonostante uno stipendio da 60 milioni. Per qualcuno può saltare, intanto il titolo paga dazio
Il re della pubblicità rovinato da una cattiva pubblicità che si è fatto da solo. Difficile trovare una migliore conferma della regola del contrappasso dantesco. Nel caso di sir Martin Sorrell, fondatore, maggiore azionista e amministratore delegato della Wpp (l’acronimo sta per Wire and Plastic Products, ma era solo il nome d’origine: tutti la chiamano solo con le iniziali), più grande agenzia pubblicitaria del mondo, è ancora presto per tirare fuori il proverbio: chi di spada ferisce, di spara perisce. Il “Napoleone della City“, come lo hanno soprannominato i tabloid per la minuta statura fisica e la smisurata ambizione, è ancora al suo posto e assicura di non avere fatto niente di illecito. Ma la tempesta che si agita sopra di lui è grossa. Ha già fatto perdere il 2 per cento alla sua società alla borsa di Londra. Resta da vedere se gli farà perdere anche la poltrona che occupa da trentacinque anni.
Con una serie di acquisizioni, fusioni e abili strategie, il 73nne genio dell’advertising ha creato un impero di 200 mila dipendenti presente in 112 paesi. Qualche problema l’ha incontrato anche prima, ma a farlo scivolare – paradossalmente – sembra essere stata una classica buccia di banana: uso improprio di fondi dell’azienda. Per viaggi, alberghi e spese personali, sembra.
E pare che non si tratti di grosse cifre. Non grosse, perlomeno, per uno come lui, che l’anno scorso ha portato a casa fra salario e bonus 48 milioni di sterline (quasi 60 milioni di euro) e solo perché è stato un brutto anno dal punto di vista dei profitti per la Wpp: nel 2015 fece scandalo con un bonus di 70 milioni di sterline, ineguagliato nella cittadella finanziaria londinese.
A queste vanno aggiunte 470 mila sterline l’anno di “benefits” per le sue spese private, tra cui la macchina con autista, l’albergo a cinque stelle plus, anche quando si ferma a New York dove ha una delle sue case da favola, e un’assicurazione medica da 80 mila sterline. Insomma, se c’è un businessman che non ha bisogno di rubacchiare sulle note spese, è lui. Sarebbe incredibile che cadesse proprio per questo.
A lanciare l’accusa è stato un “whistleblower”, una gola profonda dall’interno della compagnia. “Ho la coscienza a posto, ma è giusto che si indaghi”, commenta Sorrell senza dare segni visibili di nervosismo. Si stanno innervosendo, tuttavia, i membri del consiglio d’amministrazione della Wpp, uno dei quali ha confidato al Financial Times: “Se ha sbagliato, dovrà pagare”. Non nel senso di restituire il maltolto: nel senso di andarsene. “Qui dentro nessuno è intoccabile”, aggiunge la medesima fonte. Del resto, qualche analista osserva che le cose andavano di male in peggio per la sua azienda: sarà colpa di un mercato pubblicitario in flessione, non sua, ma un cambio di manager potrebbe essere necessario e benvenuto. E poi si sa com’è, in tutti gli ambienti: quando il leone è ferito, cominciano a girargli intorno le iene. La battaglia più difficile che aveva affrontato sinora gli aveva portato, anche quella, cattiva pubblicità: il divorzio dalla prima moglie, Sandra, madre dei suoi primi tre figli. Dopo trentadue anni di matrimonio, la rottura gli è costata 30 milioni di sterline, una splendida casa di quattro piani in stile georgiano e i due posti riservati nel garage di Harrod’s, i grandi magazzini dove la coppia faceva regolarmente lo shopping, oltre a un bel po’ di perfido gossip. Le malelingue si sono divertite ancora di più quando si è risposato con una donna di trent’anni più giovane, Cristiana Falcone, un’economista italiana che di figli gliene ha dato subito un quarto, una bambina che adesso ha 16 mesi, e lo accompagna quasi sempre nei suoi viaggi di lavoro. Non che sir Martin (ha ricevuto il titolo dalle mani della regina) avesse bisogno di rubacchiare i fondi aziendali per questo: fra i benefici del suo pacchetto c’è anche quello che la Wpp deve pagare per tutti i viaggi in cui la consorte decide di seguirlo. Ci furono proteste. “La mia ricchezza è la mia società”, rispose. “Se la società va bene, ci guadagno anch’io”. Ci ha guadagnato anche a organizzare un convegno in Egitto, con il fior fiore di partecipanti da mezzo mondo, incluso l’ex-primo ministro laburista Tony Blair, indifferente all’accusa che era un modo indiretto di offrire sostegno al regime autocratico del presidente Al-Sisi.
Tra i suoi migliori amici ci sono illustri intellettuali, come lo storico Simon Schama e l’ex-direttore della Tate Nicholas Serota. Ma non gli mancano illustri nemici. I Brexitiani, per esempio, che non gli perdonano di essersi schierato con tutte le sue forze contro l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea: non a caso adesso i tabloid di destra euroscettici sguazzano nei suoi guai. E poi ci sono quelli che ha sconfitto negli affari. David Ogilvy, fondatore dell’omonima agenzia pubblicitaria, considerato il padre del marketing moderno, non nascose l’antipatia dopo il take-over con cui la Wpp si mangiò la sua azienda: “Martin, quel piccolo, odioso pezzo di merda che non ha mai scritto uno slogan pubblicitario in tutta la sua vita”. Non un creativo, intendeva dire, bensì un cinico amministratore. Certo, ci vogliono delle doti per costruire un impero e quelle di Sorrell sono innegabili: come un novello re Mida, sapeva trasformare in oro tutto ciò che toccava. Può darsi che le accuse contro di lui siano soltanto un complotto da parte dell’ennesimo nemico, magari un dipendente offeso e rancoroso. Uno dei migliori studi legali della City ha ricevuto l’incarico di investigare. Sapremo presto se il re Mida della pubblicità ha finito per farsi del male da solo.
Enrico Franceschini, la Repubblica