Oggi il tasso dell’obesità vera e propria in Italia è dell’11%. Dato confortante se paragonato a quello di altri Paesi, come Stati Uniti, Gran Bretagna o Irlanda. Ma la tendenza dice che la percentuale salirà al 20% in 12 anni
Forse è il prezzo da pagare per le comodità della vita moderna, o la conseguenza dell’abbondanza di cibo. Fatto sta che l’obesità è un’emergenza sempre più pressante, anche in Italia. Perché non siamo ai livelli da allarme rosso degli Stati Uniti, dove gli obesi sono il 40%, o del Regno Unito e dell’Irlanda, dove si arriva a circa il 30%, ma certo non c’è da stare allegri: gli obesi secondo l’Istat sono l’11% della popolazione, e, soprattutto, sono in crescita costante visto che a cavallo del 2000 erano sotto il 9%.
I dati
«Quel che più preoccupa sono le prospettive: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2030 saliremo al 20% — sottolinea Paolo Sbraccia, direttore del Centro per la Cura dell’Obesità al Policlinico Tor Vergata di Roma e past president della Società Italiana dell’Obesità —. Non solo: oggi il 45% dei connazionali è sovrappeso, nel 2030 la quota supererà il 50%. Ci avviamo insomma a diventare una nazione in cui oltre due persone su tre avranno un bel po’ di grasso in eccesso. Ci sono peraltro differenze territoriali rilevanti: al Sud l’epidemia di obesità è maggiore, soprattutto per motivi socioeconomici perché per esempio in molte aree del meridione fare attività fisica è più difficile per la carenza di strutture sportive, o anche perché una maggior povertà porta ad acquistare spesso cibo “spazzatura”». Al netto delle differenze, però, stiamo tutti ingrassando. Non faremo forse la fine degli indiani Pima dell’Arizona, che oggi sono obesi in nove casi su dieci, ma stiamo seguendo le loro orme: per centinaia di migliaia di anni hanno vissuto muovendosi e mangiando in maniera frugale, nell’ultimo secolo si sono ritrovati immobili nelle riserve, mangiando cibo scadente a basso costo. E il loro girovita è letteralmente esploso.
Siamo destinati a immagazzinare
«L’uomo è geneticamente pigro: se non deve faticare per procurarsi il cibo, tende a non farlo — chiarisce Sbraccia —. Gli europei sono più fortunati degli indiani Pima, selezionati dall’evoluzione per incamerare più energia possibile quando trovavano il cibo: nel vecchio continente si sono alternati nei secoli periodi di abbondanza e carestie, quindi il nostro genotipo è un po’ più “attrezzato” per sostenere un eccesso di energia. Ma solo un po’: se non invertiamo la rotta, con la meccanizzazione di gran parte delle attività e l’enorme disponibilità di cibo siamo destinati ad aumentare inesorabilmente di peso». Non è una bella notizia, perché l’obesità è una malattia: altera le funzioni metaboliche interferendo con insulina e altri ormoni, produce un’infiammazione cronica generalizzata che facilita la comparsa di altre patologie. Purtroppo la maggioranza non l’ha ancora ben chiaro, anche se le conseguenze dei chili di troppo sono assai nefaste.
Le malattie correlate
«Pochi Stati hanno riconosciuto l’obesità come malattia, anche perché farlo porterebbe a dover rimborsare molte terapie; in Italia per ora il Senato ha approvato una risoluzione per riconoscerla come patologia — puntualizza Sbraccia —. Certo è che il 90% della spesa sanitaria deriva da problemi che sono diretta conseguenza di fumo, alcol e, appunto, obesità: in media un obeso vive 10 anni di meno e passa 10 anni in più con una qualità di vita scarsa, dovuta a disabilità da chili in eccesso. È vero che ci sono differenze e possono esistere grandi obesi con situazioni relativamente sotto controllo a fronte di persone meno grasse ma più malmesse, ma non si può negare che i reparti di ospedale siano pieni di pazienti con problemi correlati al sovrappeso: i chili di troppo infatti favoriscono per esempio diabete, malattie cardiovascolari, disturbi articolari». Gli studi che mostrano un legame fra obesità e altre patologie non si contano e il problema è talmente ampio e complesso che per risolverlo probabilmente serve ripensare del tutto l’approccio al trattamento: lo hanno spiegato gli esperti intervenuti su un recente numero monografico del Journal of the American Medical Association (Jama), tutto dedicato a questo problema.
Soluzioni su misura
«Anche in un ambiente molto obesogeno come l’attuale alcuni restano magri: nella suscettibilità a ingrassare contano perciò differenze psicosociali, culturali, economiche ma anche genetiche — sottolinea Susan Yanovski dei National Institutes of Health statunitensi —. La maggioranza degli obesi è tale per colpa di più di un solo fattore, la stessa variabilità la vediamo nella perdita di peso: non tutti dimagriscono allo stesso modo né mantengono il peso raggiunto, ed è difficile anche prevedere chi risponderà meglio alle cure. Per tutti questi motivi è improbabile che esista una “pallottola magica” che risolva sempre sovrappeso od obesità; è molto più utile un approccio di precisione sempre più personalizzato, in cui tenere conto di tutti gli elementi che nel singolo paziente possono fare la differenza, dal grado di controllo di fame e sazietà alla flora batterica presente, dalle caratteristiche psicologiche alle differenze di metabolismo».
Pure i tumori sono favoriti dall’adipe
Anche un maggior rischio di tumori è ormai riconosciuto fra le conseguenze dell’obesità: l’ultimo rapporto dei Centers for Diseases Control americani parla di tredici tipi di cancro correlati ai chili di troppo. Colpa del «deragliamento» di molti ormoni che possono favorire la crescita incontrollata di cellule maligne, ma anche dello stato di infiammazione cronica indotto dall’adipe, che produce sostanze pro-infiammatorie che possono influenzare la comparsa di alcuni tipi di cancro. Fra i tumori direttamente legati all’eccesso di peso ci sono per esempio quelli a seno, utero e ovaie ma anche a fegato, pancreas, rene, stomaco, colon; una lista che peraltro va sempre più allungandosi visto che appena due anni fa i tipi di cancro associati all’obesità erano «solo» otto. E il grasso può pure compromettere le cure: uno studio recente mostra come l’obesità impedisca la risposta ai farmaci anti-angiogenici in donne con un tumore al seno.
Dai farmaci molte delusioni
Per dimagrire davvero e soprattutto una volta per tutte serve un approccio individualizzato, che tenga conto di molte variabili. Perché il farmaco anti-obesità che per magia elimina tutti i chili di troppo non c’è e forse mai ci sarà. Anzi, la storia dei medicinali brucia-ciccia è stata a dir poco travagliata: la sibutramina è stata a più riprese sospesa dal commercio (e oggi non è più autorizzata) per i suoi effetti collaterali cardiovascolari, l’anoressizzante rimonabant è stato ritirato per i gravi rischi psichiatrici a cui esponeva i pazienti, compreso un incremento della probabilità di suicidio. «Oggi le agenzie regolatorie sono molto più severe e approvano un prodotto anti-obesità solo se il rapporto fra sicurezza ed efficacia è buono — osserva Paolo Sbraccia del Centro per la Cura dell’Obesità del Policlinico Tor Vergata di Roma —. I farmaci ora disponibili (orlistat e un’associazione fra naltrexone e bupropione, ndr) sono utilizzati poco perché sono costosi e non vengono rimborsati: trattandosi di prodotti da assumere cronicamente, sono pochi i pazienti per cui si scelgono. C’è però la prospettiva che arrivino nuovi principi attivi, in un prossimo futuro». Al momento anche alcuni farmaci per i diabetici (per esempio liraglutide, analogo dell’ormone GLP-1 che regola la produzione di insulina) si stanno rivelando d’aiuto nel controllo del peso e possono essere impiegati in casi selezionati.
Elena Meli, Corriere.it