Nel 2017, in base alle stime di Nielsen, il comparto web denominato «search and social», ovvero i motori di ricerca e i social network, hanno raccolto in Italia circa due miliardi di euro di pubblicità. Volendo semplificare, perciò, sulla Penisola i due più importanti colossi del settore, Google e Facebook, valgono, insieme, poco meno di due miliardi di euro di ricavi pubblicitari. Ricavi sui quali non vi è alcuna visibilità, poiché i due soggetti, con abili stratagemmi di tax planning, si sottraggono ai controlli.
Dei due comparti, quello social è in grande crescita (+20,2% dei ricavi pubblicitari nel 2017 rispetto al 2016). Ed è naturale che Facebook e i suoi fratellini minori abbiano fatto grande concorrenza soprattutto agli editori tradizionali, che all’improvviso si sono ritrovati i bacini pubblicitari quasi prosciugati sia su carta e sia sulle attività gestite direttamente sul web.
Dopo la recente vicenda Cambridge Analytica/Facebook, che mostra come vi siano ancora molti passi da fare sulla privacy dei dati, sui paletti da imporre alle profilazioni e alle cessioni dei big data dei milioni di utenti Facebook, sale un certo malumore sul mercato pubblicitario ed editoriale per gli accordi che il sistema Audiweb ha stretto proprio con Facebook per migliorare la sua indagine sulle audience del web italiano.
Facebook, operatore che non si sottopone ad alcun controllo sulle sue audience, che non spiega come raccoglie i dati, né con quali algoritmi li elabora, né con quali politiche di privacy li tratta, sarà infatti centrale per la prossima Audiweb 2.0: Nielsen, che si occuperà della indagine Audiweb, ha infatti a livello mondiale un accordo con Facebook che serve per attribuire le demografiche, età e sesso, ai dati grezzi ricavati dai tag. Il percorso sarà questo: si rileva il traffico sui contenuti, in maniera anonima viene mandato a Facebook che assegna le demografiche (com’è l’utente che in tal ora ha visitato il sito web? Facebook il più delle volte lo sa perché l’utente resta collegato), poi si passa al panel per eliminare determinati errori e calibrare i dati ottenuti con il social. Infine si calcolano le metriche da distribuire. In questo passaggio si ottiene il dato sugli utenti unici, non duplicati nel caso uno stesso utente vedesse il sito attraverso differenti dispositivi.
Insomma, la nuova Audiweb trasferisce a Facebook tutti i dati del traffico censuario prodotto dal proprio sistema affinché Facebook possa attribuire ai dati una profilazione. Quindi la nuova Audiweb 2.0, i cui primi risultati saranno disponibil nelle prossime settimane, prevede che la profilazione degli utenti web venga effettuata da Facebook a cui tutti i soggetti rilevati (tra cui gli editori) sono tenuti a inviare i dati di navigazione sulle proprie properties digitali.
In altre parole, Facebook, pur non sottoponendosi ad alcun controllo sul metodo di produzione, sul sistema di validazione dei suoi stessi dati, su come essi vengono depurati e filtrati dal traffico non umano (i cosiddetti robot che costituiscono una percentuale considerevole dell’attuale traffico digitale) o dei finti account, avrà tuttavia il compito di rendere questi dati una metrica ufficiale e incontrovertibile grazie alla sua comprovata capacità di profilare i dati stessi.
E, come spiegano studi legali consultati da ItaliaOggi e attivi nella disciplina del trattamento dei dati e di tutela della privacy, «al di là degli interessi dei vari contendenti del caso specifico, giuridicamente è una cosa seria: si tratta comunque della disciplina di dati posti a fondamento di un mercato. Con la scusa della globalità e alla luce della fattibilità tecnologica, Facebook, come suo costume, scambia la deregulation, che è pur sempre una logica di mercato regolamentata, con la distruzione di qualunque logica di regolamentazione».
Ovviamente Audiweb è conscia del problema. E sul tema ha già risposto Luca Bordin, general manager media sales & solutions di Nielsen: «Abbiamo scelto Facebook perché ci permetteva di avere una qualità molto elevata del dato, dal momento che gli utenti che si registrano sono portati a mettere dati veri su sesso ed età. Ma Nielsen comunque controlla questi dati grazie al suo panel. Inoltre Facebook, al contrario di altri provider, rappresenta in maniera abbastanza equilibrata la popolazione online, non c’è un eccessivo squilibrio per esempio sui giovani». Forse proprio grazie a questa intesa, alla nuova Audiweb 2.0 potrebbero partecipare anche Facebook e YouTube (di Google) per essere misurati come gli altri editori così come richiesto dall’Agcom.
Tuttavia, anche in questo particolare ambito, l’Italia sembra avere ottenuto un primato che non ha pari a livello europeo. Non esiste infatti nessuno dei cosiddetti JIC (ovvero gli organismi ufficiali a cui tutto il mercato partecipa per condividere una metrica univoca di misurazione degli ascolti) che abbia offerto a Facebook un ruolo di questa natura. Quello italiano, con Audiweb 2.0, sarebbe il primo caso a livello continentale. In Europa, al contrario, la strada sembra procedere in direzione diametralmente opposta. La fresca entrata in vigore del nuovo regolamento europeo della privacy (il cosiddetto Gdpr), fermamente voluto dal garante europeo della privacy Giovanni Buttarelli, sembra ispirato da una lungimiranza di cui la Ue dovrebbe andare una volta tanto fiera. Sia per il coraggio che emerge dai principi e dalle norme contenute nel nuovo testo di regolazione, sia per il timing irripetibile con cui questa regolamentazione interviene nel settore attraversato dalle vicende Facebook e Cambridge Analytica.
E pure la tanto vituperata Auditel, in fase di risveglio dopo anni di torpore, ha recentemente comunicato di impiegare, nella sua nuova ricerca, algoritmi tutti depositati in garanzia e di aver già proceduto ad adeguarsi al nuovo regolamento europeo. Resta l’anomalia italiana di Audiweb/Nielsen/Facebook che pure incide sui destini di un settore, quello dell’editoria, che attraversa momenti difficili.
Naturale, quindi, che l’intero sistema sia in allarme: gli utenti pubblicitari sono perplessi che in Italia questo ruolo venga svolto da un soggetto come Facebook che non garantisce la piena certificabilità del suo operato, nonché in evidente conflitto di interessi. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni avrebbe già avviato un’indagine conoscitiva. E l’Antitrust ha già ricevuto numerosi esposti sul tema.
Claudio Plazzotta, ItaliaOggi