Quando entro nella sede di Google Italia, a Milano, in un moderno palazzo in zona Gae Aulenti, lo faccio sempre con una sorta di deferenza culturale che mi scatta come riflesso pavloviano di uomo formatosi in un’epoca sostanzialmente analogica e poi sballottato qua e là dalla rivoluzione digitale. Per fortuna, e accade regolarmente, quando esco tiro un sospiro di sollievo perché, pure da queste parti, alla fin fine chiamano con nomi diversi delle cose che sono sempre esistite.
Ad esempio lunedì sera gli spazi di Google hanno ospitato l’evento Wannabe a Guru, organizzato da Startup Grind Milano (le cui anime sono Andrea Bifulco e Luca Torresan), dedicato all’influencer marketing e al quale hanno partecipato oltre cento persone in rappresentanza di più di 60 aziende e startup. Sette testimonianze, da parte di influencer e social media manager, che si sono tradotte nelle consuete presentazioni di case history aziendali o personali, senza particolari approfondimenti e, soprattutto, senza raccontare nulla di sconvolgente.
Le poche regole emerse nel corso dell’incontro si possono riassumere così: per avere successo sui social bisogna essere sé stessi e diventare autorevoli (Gracia de Torres, influencer, modella ed ex concorrente dell’Isola dei famosi 2016); ci vogliono pazienza, lavorando per obiettivi di medio e lungo periodo, e costanza, andando avanti tutti i giorni anche se i risultati arriveranno tra un po’ (Raffaele Gaito, growth hacker e autore); bisogna farsi notare, coinvolgere i follower, ringraziarli, e poi pure organizzare eventi per conoscerli personalmente (Riccardo Pirrone, social media Taffo funeral services); importante creare appuntamenti fissi (Luca Mangione, social media manager della catena di palestre McFit); fondamentale ricordare che la differenza la fanno contenuti di qualità, e non il numero di followers che spesso non è sinonimo di qualità (Matteo Grandi, giornalista e autore); la comunicazione sui social costa pochissimo (un post di Taffo dedicato alle vaccinazioni ha avuto 3,5 milioni di visualizzazioni, roba da audience televisiva, ed è costato, in promozione, meno di 100 euro); molte aziende usano la voglia matta di fare gli influencer per alimentare praticamente gratis i loro social e magari farsi suggerire pure qualche idea: Ovs, ad esempio, invita il suo pubblico social a fare l’influencer, a farsi i selfie nei camerini magici interattivi presenti in alcuni negozi, a scrivere sul magazine online di Ovs, a creare compilation musicali da usare come colonna sonora nei negozi Ovs (Monica Gagliardi, global e-commerce director Ovs).
Claudio Plazzotta, ItaliaOggi