Acquisizioni fino a 500 milioni ogni anno. Tagli da 450 mln
Un tasso di crescita organica a parità di perimetro del 4%, un piano di acquisizioni per 300-500 milioni di euro l’anno e ancora un calendario d’investimenti operativi nelle attività già in essere da 300 milioni complessivi, ma anche un contenimento dei costi pari a 450 milioni di euro: sono queste le risposte che Publicis, terzo gruppo pubblicitario al mondo (dopo Wpp e Omnicom), dà per il futuro al mercato e soprattutto ai nuovi concorrenti provenienti dalla consulenza come Accenture e Deloitte, oltre agli over the top alla Facebook & Google. Ieri, infatti, il numero uno di Publicis groupe Arthur Sadoun ha presentato il piano di sviluppo al 2020 intitolato Sprint to the future durante il primo investor day dal 2013. Sadoun ha promesso anche una crescita progressiva, nel periodo di riferimento, tra il 5 e il 10% del diluted earnings per share (utile per azione diluito in italiano e a quota 4,5 euro a fine 2017). Dal punto di vista dei contenuti tre sono le parole d’ordine del successore, dallo scorso giugno, dello storico patron Maurice Lévy, a partire dalle nuove tecnologie targate Sapient, il network digital acquistato a fine 2014 per un contravalore di 3,7 miliardi di dollari (circa 3 miliardi di euro). Operazione che ha dato il via alla trasformazione hi-tech del gruppo parigino, voluta da Lévy e oggi sostenuta da Sadoun. Di conseguenza il secondo pilastro della crescita attesa sono i big data che, tra le varie declinazioni, hanno portato al varo di Publicis people cloud, piattaforma che confeziona pacchetti di soluzioni per i singoli clienti. Non poteva mancare infine la creatività in un colosso pubblicitario, spingendo su contenuti personalizzati a seconda delle diverse esigenze aziendali. Quest’ultimo punto fa un po’ da specchio rispetto alla Publicis che verrà da un punto di vista organizzativo. Sadoun s’immagina nei prossimi anni il polo nato nel 1926 (che comprende sigle come Leo Burnett e Saatchi & Saatchi) con più global client leader, ossia interlocutori unici per i clienti più importanti che ne sappiano soddisfare le richieste, spaziando da un campo all’altro della creatività (digitale o ufficio stampa che sia), da un mercato all’altro (dall’Europa all’Asia per esempio). Tanto per avere un’idea dei global client leader e dei grossi budget che gestiscono, oggi sono 35 e generano un terzo dei ricavi del gruppo (a fine 2017 pari a 9,7 miliardi di euro). Nel 2020 l’intenzione è che diventino 100, assicurando oltre il 50% del fatturato complessivo. Il modello ha poi un suo parallelo a livello nazionale visto che ogni paese si sta attrezzando per avere un unico gruppo dirigente esperto di tutte le sfaccettature della creatività. Tutto rosa e fiori quindi nel futuro di Publicis? Stando al mercato non proprio, visto che ieri il titolo alla Borsa di Parigi ha chiuso in calo del 4%, dopo una giornata in altalena, partita guadagnando il 3% e, subito dopo, azzerando il rialzo. A motivare lo scetticismo degli analisti l’ultimo dato disponibile (+0,8% a fine anno scorso) di crescita organica, molto contenuto rispetto alla previsione del +4%. Ma soprattutto i timori riguardano l’intero mercato pubblicitario a livello mondiale, considerando la politica di risparmi avviata dai grandi investitori, soprattutto americani, di cui è solo un esempio nel largo consumo Unilever. Del resto, anche il numero uno della pubblicità Wpp sotto la guida di Martin Sorrell ha rivisto più volte le sue stime di crescita. Tra l’altro il conglomerato britannico ha di recente annunciato la fusione di due delle sue agenzie di comunicazione (Burson-Marsteller e Cohn & Wolfe in Burson Cohn & Wolfe-Bcw), così come il numero due globale Omnicom ha fatto con le società FleishmanHillard, Ketchum e Porter Novelli.
di Marco A. Capisani, Italia Oggi