Oggi il vertice Berlusconi-Salvini-Meloni per indicare i candidati unitari dell’alleanza.
A mezzogiorno, a Palazzo Grazioli. Il vertice dei leader del centrodestra, Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, dovrà arrivare all’indicazione dei candidati per la presidenza delle Camere. Meglio, di Palazzo Madama, perché Montecitorio si lascerebbe al M5s. Lo schema prevede un passo indietro e uno avanti per Fi e Lega. Il Carroccio rinuncerebbe ad imporre la Bongiorno o la Borgonzoni a favore di un azzurro. Potrebbe arrivare una rosa di nomi: Paolo Romani, che però ha l’handicap del no dei grillini a chi è sotto processo, Anna Maria Bernini, e un’altra senatrice azzurra, magari Elisabetta Alberti Casellati. Il vicesegretario leghista, Giancarlo Giorgetti, conferma: «Importante è che una presidenza vada al centrodestra, se ne servirà uno non della Lega, non faremo i capricci». E aggiunge: «Non vogliamo fare un’Opa su Fi, vogliamo fare un governo». Le due telefonate ad Arcore di Salvini, lunedì e ieri mattina, sono servite a tranquillizzare il Cavaliere sulla volontà del candidato premier di non giocare da solo ma a nome di tutto il centrodestra. Sul piatto c’è anche la trattativa per il futuro governatore del Friuli: invece di Tondo, già annunciato da Fi, sarebbe Fedriga. Le carte in mano in questo momento ce le ha Salvini, leader della prima forza, con il mandato degli alleati di trattare. E lui guarda a Luigi Di Maio per un governo, non di scopo, ma di lunga durata, su 5-6 punti di programma (legge elettorale, Fornero, Def, Jobs act, immigrazione, sicurezza). Eventualmente, si valuterebbe step by step se accordarsi su altri punti. A Palazzo Chigi potrebbe non arrivare né il candidato premier grillino né il leader leghista. Berlusconi, da parte sua, deve prendere atto che la strada dell’accordo con il Pd sembra chiusa, non c’è interlocutore, né linea. E l’ex premier due cose ha chiare: non vuole tornare al voto, né finire all’opposizione. Inoltre, l’arma di pressione sulla Lega di far saltare le amministrazioni locali nelle quali si governa insieme (come ipotizzato da Maroni), appare spuntata perché dal territorio arrivano segnali diversi: il governatore ligure Giovanni Toti, ma anche assessori e consiglieri veneti e lombardi fanno sapere che non si dimetterebbero in ogni caso. Obtorto collo, insomma, Berlusconi deve ragionare su un esecutivo con i 5 Stelle, per non rimanere tagliato fuori e rispettare il risultato elettorale. Anche se, dentro di sé, spera che il percorso accidentato che Salvini ha davanti lo porti in un vicolo cieco. E che si apra una prospettiva diversa. Lo stesso leader leghista non ha certezze, mette un passo dopo l’altro. Con un governo M5s-Lega, probabilmente Fdi andrebbe all’opposizione, Fi rischierebbe di annegare nel partito unico del centrodestra, se si facesse una legge elettorale con premio alla lista, come vuole il M5s, ma anche la Lega potrebbe finire penalizzata.Il partito azzurro è in subbuglio. Ma il Cav chiede di aver fiducia. Ora bisogna pensare al 23 marzo, al voto sui presidenti del Parlamento. I capigruppo M5s hanno incontrato i capigruppo di Fi, Romani e Brunetta, ribadendo che non voteranno chi ha guai giudiziari.«Non accettiamo veti», dice Renato Schifani. Ma Romani potrebbe rinunciare. In Senato il centrodestra non ha bisogno al ballottaggio dei voti M5s, e prevede l’astensione del Pd, ma alla Camera i grillini non possono farcela da soli. «Il centrodestra unito – dice Toti- sceglierà i rappresentati alle Camere e mi auguro un larghissimo consenso. Il M5s è un interlocutore, non vuole dire essere d’accordo». Oggi, per Brunetta, si troverà «una soluzione o una rosa di soluzioni».E «verosimilmente, Salvini andrà poi a dialogare con il M5s per chiudere un accordo».
Anna Maria Greco, il Giornale