“Lascio la guida del Pd e ho chiesto a Orfini di convocare l’assemblea nazionale”. Così il segretario del Pd Matteo Renzi nel corso della conferenza stampa che si tiene dopo la sconfitta del Pd nelle elezioni politiche del 4 marzo 2018. “Come sapete si tratta di sconfitta netta che ci imppone di aprire una pagina nuova all’Interno del Pd. Siamo orgogliosi del nostro straordinario lavoro di questi anni, ma la sconfitta è altrettanto chiara ed evidente”, ha detto l’ormai ex segretario, che ha confermato come il pd starà all’opposizione, mentre personalmente l’attuale leader farà il senatore nel collegio vinto con il 44% dei voti”. Renzi ha spiegato che “oggi l’Italia ha una situazione in cui chi ha vinto non ha i numeri per governare e chi è intellettualmente onesto riconosce che ciò nasce da un anno e mezzo fa, dal referendum. Oggi chi deve governare è vittima dei suoi stessi marchingegni”. Renzi ha aggiunto che in questa campagna elettorale segnata dalle bugie ce ne è una grande più delle altre”, cioè che il Pd abbia voluto restare al potere per sete di potere e di poltrone. Il segretario uscente ha riconosciuto che l’attuale dirigenza ha “compiuto un errore grave nel non capire che sarebbe stato bene votare in una delle finestre elettorali del 2017 approfittando delle elezioni di Francia e Germania sull’appartenenza europea”. Roconosciuto anche l’errore di una campagna elettorale fin troppo tecnica, Renzi ha spiegato che il più forte segnale dell’impossibilità di vincere queste contesa è arrivato da Pesaro, dove “il centrosinistra ha candidato un ministro straordinario nell’affrontare il problema dell’immigrazione, Marco Minniti, eppure ha vinto il candidato impresentabile del M5s, Cecconi, scappato dalla campagna elettorale per la questione dele restituzioni mancate”. A questo punto Renzi, dopo avere ribadito l’intenzione di lasciare la la giuida del Pd, ha spiegato di avere chiesto al presidente del Pd Matteo Orfini di convocare l’assemblea nazionale subito dopo l’insediamento delle camere, previsto per il 23 marzo in vista di un congresso nazionale che dovrà discutere le nuove strategia e dare il via libera, dopo le primarie, all’elezione del nuovo segretario. Certo è che Renzi ha delimitato il terreno: niente segretario reggente pro tempore e niente alleanze con le forze antisistema. e quindi “niente inciuci”. “Il Pd è qui per dire no a inciuci, no a caminetti, no a estremisti. Chi ha la forza per governare lo faccia”. Chiaro, chiarissimo, anche per il Quirinale e per il capo dello Stato Sergio Mattarella. Che a suo tempo, appunto nel 2017 con i suoi inviti alla responsabilità, impedì in sostanza che si andasse alle elezioni anticipate e condannò il Pd a governare fino a fine legislatura. Renzi non aveva neanche terminato il suo discorso che il capogruppo del Pd a palazzo Madama, Luigi Zanda, franceschiniano, ha fatto sapere: “La decisione di Matteo Renzi di dimettersi e contemporaneamente rinviare la data delle dimissioni non è comprensibile. Serve solo a prendere ancora tempo. Le dimissioni di un leader sono una cosa seria, o si danno o non si danno. E quando si decide di darle, si danno senza manovre. In un momento in cui al Pd servirebbe il massimo di quella collegialità che è l’esatto opposto dei cosiddetti caminetti, annunciare le dimissioni e insieme rinviarne l’operatività per continuare a gestire il partito e i passaggi istituzionali delle prossime settimane è impossibile da spiegare. Quando Veltroni e Bersani si sono dimessi lo hanno fatto e basta. Un minuto dopo non erano più segretari”. All’attacco di Zanda hanno fatto seguito dichiarazioni che lasciano trasparire il forte malumore suscitato in larghi settori del Nazareno dalla decisione di Renzi. Una decisione evidentemente dovuta alla necessità di arginare nel Pd la deriva verso il M5S, o meglio le sollecitazioni del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che intravede la possibilità di un governo pentastellato corretto con alcuni ministri di area Pd. Una soluzione che sarebbe assai gradita, si dice, al premier Paolo Gentiloni e al ministro dei Beni e delle attività culturali, Dario Franceschini, ma che probabilmente risulterebbe invisa alla base del partito e alla fine consegnerebbe al Movimento guidato da Luigi Di Maio una ancora più ricca messe di voti di elettori del Nazareno in caso di nuove elezioni. Oltre a favorire l’isolamento di Renzi e a renderne sempre più debole la posizione nel Pd.
Giampiero Di Santo, ItaliaOggi