Vietate le parole “disaccordo”, “svergognato” e “culto”. La lettera? Indica la rieleggibilità «n volte» del leader
Passo dopo passo si riducono gli spazi di libertà nella rossa Cina del presidente Xi Jinping. Al punto che perfino cercare su internet parole innocue come «lunga vita» o «disaccordo» viene proibito per legge. Caratterizzata fin dall’inizio, nel marzo 2013, da un progressivo rafforzamento del potere del partito comunista e da continui giri di vite nel controllo «orwelliano» della società cinese, la leadership di Xi ha ufficialmente coronato nei giorni scorsi il proprio obiettivo: un cambio della Costituzione ha certificato il diritto del leader a essere «rieletto» per più dei due mandati quinquennali finora consentiti, diventando così una sorta di «presidente eterno» in stile Mao Zedong. Adesso arriva un altro segnale inequivocabile della deriva maoista di Xi: una ulteriore stretta della censura su internet, per reprimere la diffusione di critiche al Grande Capo.
Premessa doverosa: il mondo del web in Cina è già di suo tutt’altro che libero. I social occidentali come Facebook non funzionano, e sulla piattaforma cinese Weibo la censura è sempre più pervasiva. Complici, purtroppo, i colossi occidentali dell‘informatica, che pur di accedere al vastissimo mercato cinese si piegano vergognosamente alle pretese della sua guida politica. L’ultimo episodio di questa resa al totalitarismo ha visto protagonista tre giorni fa Apple, che ha «dovuto cedere» alla pretesa cinese di trasferire in Cina i dati iCloud dei suoi clienti nel Paese, offrendo così su un piatto d’argento al Grande Fratello di Pechino lo strumento per controllare i pensieri degli utenti. Adesso, però, la morsa si stringe.Sì, perché prevedendo che non a tutti piacesse l’accelerazione autoritaria di Xi Jinping, i censori del partito hanno pensato bene di giocare d’anticipo per impedire la diffusione di qualsiasi critica. Le mosse di questi burocrati sconfinano sempre nel grottesco, e più che mai in questa occasione. La lista delle parole proibite dai censori cinesi è incredibile, e conferma che il dissidente sovietico Vladimir Bukovski aveva ragione quando indicava come il peggiore spauracchio del potere totalitario il libero pensiero dei singoli: si va da «lunga vita» a «diecimila anni» a «disaccordo» a «senza vergogna» a «immortalità» a «culto della personalità», tutte collegabili alla notizia dell’estensione temporale del mandato presidenziale di Xi. Abbastanza misteriosamente è stata pure vietata la ricerca della lettera N, forse perché qualche persona colta avrebbe potuto pensare a Xi rieletto per «N volte»…
Anche la letteratura, nella peggior tradizione delle dittature di ogni tempo e colore, fa paura. Ecco così debitamente messe al bando dall’etere cinese «La fattoria degli animali» e «1984» di Orwell, che perfettamente descrivono la distorta società «socialista» cinese, ma anche il tenero «Winnie the Pooh», tolto di mezzo perché curiosamente somigliante a Xi in alcune sue fotografie e ripreso dai critici del regime con scarso rispetto del Leader. E nel dubbio che qualcuno cercasse di diffondere inopportuni paralleli con i tiranni del passato, ecco infine bandito il nome del mancato restauratore della monarchia Yuan Shikai e perfino il pernicioso ibrido Xi Zedong, che accosta maliziosamente il Capo di oggi al Timoniere di ieri.
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