La società di abbigliamento sportivo ha in programma una crescita meno sostenuta di quest’anno, anche per l’assenza degli Azzurri alla competizione. Invece i rivali di Nike e Adidas hanno in mano le nazionali più quotate
La mancata qualificazione dell’Italia ai Mondiali non ha colpito solo il cuore di milioni di italiani. Potrebbe anche limare i bilanci del suo sponsor: Puma. È quanto ha lasciato intendere l’amministratore delegato, Björn Gulden, presentando conti in forte crescita per il 2017, con un fatturato che ha sfondato per la prima volta quota 4 miliardi di euro (4,16 miliardi, +14% rispetto all’anno precedente). Ma nell’anno dei Mondiali i conti correranno di meno: la stima è un fatturato in crescita del 10%.
Complice non soltanto la mancata vendita di magliette e gadget degli Azzurri, bensì un campionato in cui le squadre favorite saranno quasi tutti in mano agli sponsor rivali, a Nike e ai “cugini” dell’Adidas. I due maggiori colossi mondiali dell’abbigliamento sportivo sponsorizzano, tra gli altri, Spagna, Germania, Brasile, Argentina, Inghilterra, Nigeria, Polonia o Russia. Gulden ha precisato anche che il dollaro debole non aiuta a far correre i numeri, per quest’anno, che sarà un altro elemento di pressione.
“Anche il Senegal non potrà compensare la perdita dell’Italia”, ha ammesso il top manager norvegese, con riferimento alla sponsorship dei Mondiali conquistata più di recente. Le altre due squadre che esibiranno il marchio con il puma saltante sono la Svizzera e l’Uruguay. Gulden non ha voluto quantificare esatamente la perdita che la mancata qualificazione degli Azzurri scaverà nei bilanci, ma per consolarsi, intanto, è notizia di questi giorni che i tedeschi si sono accaparrati il Milan. Che secondo il norvegese è interessante per la popolarità in Italia ma anche per la proprietà cinese che potrebbe garantire qualche eco positiva anche nel gigantesco mercato del Dragone.
Quanto al calcio azzurro, Gulden si è detto fiducioso che presto arriverà la”svolta” e che l’Italia tornerà a mietere successi.
Tonia Mastrobuoni, Repubblica.it