Cesare Lanza racconta in un libro i maestri di una professione dal futuro molto incerto
È appena uscito un libro di Cesare Lanza, Ecco la (nostra) stampa, bellezza, La Vela editore, una veloce cavalcata di “ritratti di giornalisti di oggi, alcuni di ieri, grandi e meno grandi”, come recita il sottotitolo. È curioso come sia venuto il desiderio di una recensione all’ultimo arrivato nel mondo del giornalismo, in fondo un parvenu, come sono io. È un libro umile questo dell’amico Cesare, perché esprime giudizi fermi, ma senza un briciolo di cattiveria, non sui giornalisti italiani in genere ma su quelli che ha conosciuto. Pochi tratti di penna (leggera) e ciascuno di noi è consegnato alla storia. E’ una professione (un mestiere?) che non si può raccontare, senza definire il “contesto” e Cesare lo fa con umiltà, senza pretendere di farne un’analisi sociologica, semplicemente dettando un aforisma “Il contesto? / non riuscirò / a capirlo presto”. All’inizio del libro, a mò di prologo, propone dieci aforismi, il decimo, di Albert Camus “Il giornalista è lo storico dell’istante” è quello che sento più vicino alle mie sensibilità.
L’aspetto positivo di questo libro è proprio il “contesto” che emerge dai ritratti di tutti i personaggio che hanno il privilegio di essere citati. Il contesto del passato e del presente, della crisi (irreversibile?) della carta stampata. Non c’è nulla del futuro, perché il giornalista è, appunto, lo “storico dell’istante”. Il giornalista è la versione laica, popolare del magistrato, entrambe le professioni entrano in gioco dopo che i fatti sono avvenuti, i giornalisti li raccontano, i magistrati li giudicano, per questo sono entrambi odiati dal potere (Napoleone Bonaparte diceva “C’è da avere più paura di tre giornali ostili che di mille baionette”).
Sarebbe bello che Cesare Lanza dedicasse le sue riflessioni sul giornalismo attuale proiettandole sul futuro di questa professione, ipotizzando il contesto nel quale dovranno lavorare i nostri giovani colleghi. Noi siamo stati abituati a confrontarci con un potere rappresentato dagli Enrico Mattei, dai Gianni Agnelli, dagli Enrico Cuccia e giù, giù, fino ai Silvio Berlusconi. Come cambierà il nostro mestiere quando i nuovi potenti (i nostri nuovi interlocutori che dobbiamo raccontare ai nostri vecchi “padroni”, i lettori) si saranno consolidati al vertice? Penso profondamente, la schiena dovrà ancor più irrigidirsi, il coraggio diventare vieppiù spregiudicato, la scrittura più nervosa. Ne vedremo delle belle, caro Cesare.
Riccardo Ruggeri, LaVerità