Il secondo figlio di Michele guida il gruppo dal 2015 e ha rotto il tabù della crescita per acquisizioni. L’ultima appena annunciata dalla Nestlé. Il big che, tanto tempo fa, poteva essere una minaccia…
Quando, nel 2011, morì improvvisamente Pietro Ferrero a 48 anni non ancora compiuti, tutti pensarono che per la Ferrero ci sarebbe stato un solo destino: essere venduta a un gruppo estero. Pochi, infatti, allora scommettevano su suo fratello, Giovanni, di solo un anno più giovane. Troppo defilato, troppo preso dalla scrittura dei suoi romanzi, troppo introverso e con una vita troppo ordinaria rispetto al più esuberante Pietro, da tutti indicato come il vero successore al padre, Michele. Non era un caso che, per esempio, fosse Pietro a rappresentare la Ferrero – da sempre restia a mettersi in mostra – nel consiglio di amministrazione di una istituzione come Mediobanca. Eppure Giovanni era amministratore delegato della società dolciaria esattamente come il fratello; e se Pietro aveva una mente più finanziaria, Giovanni era dedicato alla parte commerciale e soprattutto al marketing a tema oggetto anche di uno dei suoi sette libri (gli altri sono tutti romanzi). Questa, almeno, era la descrizione che veniva fatta all’esterno, perché in realtà delle cose interne della famiglia nata ad Alba, ma che da tempo immemore vive a Bruxelles, si è sempre saputo davvero poco.
Previsioni
Invece, le previsioni sono state smentite. L’uomo che in una delle rare interviste, concessa ormai anni or sono, aveva detto di sé di non avere «alcun interesse per le cose materiali. Non ho la passione per le macchine, le moto, le barche. Mangio poco e, Juventus a parte, non seguo lo sport. Il mio lusso è prendermi del tempo per viaggiare e per scrivere» (da Style del Corriere della Sera), ha aperto una via del tutto nuova e inusuale per la Ferrero e per molte imprese italiane, diventando in questo un modello per diverse nuove generazioni imprenditoriali. Quella della crescita per acquisizioni. L’ultima è stata firmata la settimana scorsa quando la società italiana ha battuto la concorrenza internazionale portandosi a casa per 2,8 miliardi di dollari i dolci della Nestlé (la stessa Nestlé che per anni si è detto avrebbe comprato Ferrero) diventando così il terzo produttore di dolci di cioccolata degli Stati Uniti (il più grande mercato dolciario al mondo) dopo Mars e Hershey. Negli Usa, l’anno scorso, aveva già rilevato Fannie May e Ferrara Candy. Facendo una proiezione, tutto questo porterà il fatturato del gruppo, che ad agosto 2016 era stato di 10,3 miliardi di euro, a superare i 14 miliardi: circa 2 miliardi dovuti allo shopping e oltre 2 miliardi alla crescita interna. Ancora: per il gruppo italiano gli Stati Uniti diventano il primo mercato, seguiti da Germania e Italia, ovvero dai due Paesi su cui si è fondato finora il business. Una rivoluzione. Le acquisizioni sono anche il segno di una rottura con il passato. D’altra parte — è lo stesso Giovanni a dirlo — «ogni generazione deve esplorare nuove frontiere e possibilmente portarsi oltre le colonne d’Ercole». Parole che l’imprenditore ha pronunciato davanti alla platea di Expo il 4 maggio 2015. Solo tre mesi prima era scomparso suo padre, Michele, l’uomo che aveva inventato la Nutella e creato la Ferrero. Personaggio mitologico quanto riservato, esempio difficile da superare per tutti. Per il gruppo un passaggio assai delicato. «Ma la storia ci insegna che gli italiani sanno esprimere la parte migliore di sé proprio nei momenti di maggior difficoltà», aveva detto Giovanni qualche anno prima parlando della crisi economica in cui versava l’Italia (Famiglia cristiana). E Ferrero è italiano: a pochi giorni dal discorso di Expo il gruppo di Alba annunciava la sua prima operazione esterna, l’acquisto della britannica Thorntons. Certo, c’erano stati dei tentativi negli anni passati, come quello sull’inglese Cadbury, poi presa invece da Kraft; e l’approccio, subito ritirato, su Parmalat (troppa attenzione politica). Dentro il gruppo, quindi, era già iniziato il ragionamento su possibili strade alternative di crescita. Ma la sequenza di operazioni messe insieme da Giovanni Ferrero rappresenta la rottura di un tabù per un’azienda che aveva raggiunto la taglia dei 10 miliardi — lontanissima per la stragrande maggioranza delle imprese made in Italy — solo con i propri prodotti.
Governance
Non l’unico infranto. Pochi mesi fa l’imprenditore è, infatti, intervenuto su un altro fronte sensibile come quello della governance, riservando per sé il ruolo di presidente esecutivo (strategie di medio-lungo periodo comprese le acquisizioni) e nominando quale amministratore delegato del gruppo Lapo Civetti: un manager, il primo esterno alla famiglia. La famiglia. Elemento centrale da sempre per i Ferrero, a partire da Michele e dalla moglie Maria Franca (il cui ruolo nel gruppo non va mai sottovalutato), e che Giovanni ha continuato a coltivare. «È da sempre il cemento del successo della Ferrero. Da sempre per gli italiani la famiglia è il primo, il principale ammortizzatore sociale, quello che dà più sicurezza e consente di affrontare le maggiori difficoltà. Come famiglia imprenditoriale abbiamo cercato e cerchiamo di condividere questo valore con tutti i nostri collaboratori. Cerchiamo sempre di farli sentire membri di una grande famiglia». Per quanto lo riguarda, è marito di Paola e padre di Michele e Bernard e ha raccontato di passare i fine settimana «facendo quello che normalmente fa un marito e un padre. Ogni tanto mi capita di giocare a calcio con i miei figli e scopro che lavorare, a volte, è meno faticoso». Nato a Torino nel ‘64 e presto passato a Bruxelles dove i Ferrero si trasferirono all’epoca dei sequestri di persona in Italia, oltre a famiglia e azienda ha un altro «grande amore»: l’Africa. «La prima volta avevo 10 anni: fu in Senegal… Da allora ho passato le mie vacanze preferendo Botswana, Namibia, le regioni incontaminate… Il mio regalo di nozze a mia moglie è stato un viaggio alla scoperta del continente ed è lo stesso che ispira i miei sforzi letterari». Nella sua formazione dice che hanno contato gli autori dell’Ottocento francese, «Honorè de Balzac e Victor Hugo, di cui ho letto tutto… Il Novecento tedesco, soprattutto Hermann Hesse e Thomas Mann, l’austriaco Robert Musil, di cui mi appassiona l’aspetto filosofico, più di quello letterario». E certamente la cultura ha un ruolo decisivo nella volontà di superare le «colonne d’Ercole» rappresentate dalla grande storia di Ferrero. Capire che ogni generazione deve essere capace di reinventarsi l’azienda, anche rischiando, non è per niente facile da mettere in pratica.
Maria Silvia Sacchi, Corriere della Sera