L’estrema volatilità delle quotazioni dei bitcoin degli ultimi mesi impone una riflessione seria e possibilmente definitiva sulla natura di questo asset. L’equivoco nasce dal fatto che viene definito «criptovaluta», ingenerando così l’idea che possa essere considerato una «valuta», ossia una «moneta». È un clamoroso errore: non è una moneta né mai potrà esserlo. Vediamo perché.
Una moneta è uno strumento che racchiude in sé tre caratteristiche: a) intermediario dello scambio, b) misura del valore ed unità di conto, c) riserva di valore: le tre caratteristiche devono coesistere perché si possa parlare di moneta. La definizione non è teorica, ma prettamente pratica, si è affinata nel tempo a seguito di secoli di osservazioni empiriche.
Oggi il bitcoin è accettato da alcuni soggetti negli scambi: qualcuno vende un bene reale ed accetta bitcoin in pagamento perché pensa di poterli successivamente spendere in cambio di un altro bene reale. Ma questa funzione di intermediazione in (alcuni) scambi non basta a farne una moneta, perché difettano le altre due caratteristiche, necessarie affinché esista una moneta.
Difatti, non si riesce a misurare il valore di un bene in termini di bitcoin in maniera oggettiva, e quindi generalmente accettata; meno che meno si può ipotizzare di redigere una contabilità (di una impresa, di una famiglia o di uno stato) esprimendo i valori in bitcoin. Infine, non esiste un operatore razionale che volendo tesaurizzare, cioè mantenere un valore per il futuro, decide di detenere bitcoin a tal fine. Questo perché il suo valore non è ancorato a niente.
Dunque, al momento, il bitcoin non è una moneta, ma potrà mai esserlo in un futuro? Anche qui la risposta è negativa, perché non esiste nessun detentore o utilizzatore «naturale» di questo asset, al contrario delle altre monete che hanno tutte un utilizzatore naturale, ad esempio gli inglesi per la sterlina, i giapponesi per lo yen e così via. A questo punto, chi vuole investire in bitcoin è libero di farlo, ben sapendo che non fa altro che entrare in una «catena di sant’Antonio»: ecco perché ammettere i bitcoin alla negoziazione in un qualunque mercato regolamentato è stato da veri irresponsabili.
Marcello Gualtieri, ItaliaOggi