Secondo recenti stime, con ogni nascita le donne perdono in media il 4% del loro stipendio rispetto a un uomo; per il padre il reddito aumenta invece di circa il 6%.
Nel mondo le donne guadagnano in media il 23% in meno degli uomini. Lo affermano le Nazioni Unite, secondo cui il fenomeno – noto come il gender pay gap – è “il più grande furto della storia”. Secondo i dati raccolti dall’organizzazione, non vi sono distinzioni di aree, comparti, età o qualifiche. “Non esiste un solo paese, nè un solo settore in cui le donne abbiano gli stessi stipendi degli uomini”, ha detto il consigliere delle Nazioni Unite, Anuradha Seth. Secondo l‘Eurostat, la situazione del gender pay gap italiano è tra le migliori del Vecchio continente, poco sopra il 5%. Ma la statistica europea è costruita sulla paga oraria, non sconta quindi altri ritardi della situazione lavorativa delle donne italiane. L’Osservatorio Jopricing, che prende in esame la retribuzione lorda annua nel settore del privato, calcola la differenza nell’ordine del 12% dello stipendio, circa 3mila euro. Tornando all’Onu, il divario salariale non ha una o due cause, ma è dovuto all’accumulo di numerosi fattori che includono la sottovalutazione del lavoro delle donne, la mancata remunerazione del lavoro domestico, la minore partecipazione al mercato del lavoro, il livello di qualifiche assunte e la discriminazione. Pertanto, le donne guadagnano meno in generale perchè lavorano meno ore retribuite, operano in settori a basso reddito o sono meno rappresentate nei livelli più alti delle aziende. Ma anche, semplicemente, perchè ricevono in media salari più bassi rispetto ai loro colleghi maschi per fare esattamente lo stesso lavoro. Nel complesso, la stima dell’organizzazione è che per ogni dollaro guadagnato da un uomo, una donna guadagna in media 77 centesimi. Le differenze tra paesi, tuttavia, sono importanti. Tra i membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), vi sono paesi con una differenza inferiore al 5% come Costa Rica o Lussemburgo e altri fino al 36% come la Corea del Sud. I confronti sono complicati, dal momento che i numeri cambiano a seconda della fonte e della metodologia, come visto sopra per il caso italiano. In Spagna, ad esempio, il divario è dell’11,5% secondo i dati del 2014 utilizzati dall’Ocse, e del 24% secondo i dati di un rapporto pubblicato un anno fa dal sindacato Ugt. Secondo i più recenti calcoli dell’Ocse, in Giappone il divario è del 25,7%, negli Usa del 18,9%, nel Regno Unito del 17.1%, in Germania del 15,7%. La differenza di salario tra uomini e donne si amplia generalmente in relazione all’età, soprattutto quando le donne hanno figli. Secondo recenti stime, con ogni nascita le donne perdono in media il 4% del loro stipendio rispetto a un uomo; per il padre il reddito aumenta invece di circa il 6%. Ciò dimostra, afferma Seth, che buona parte del problema è il lavoro familiare non retribuito che le donne continuano a svolgere in modo sproporzionato. Nell’Africa sub-sahariana e nell’Asia meridionale, ad esempio, il divario retributivo di genere è pari rispettivamente al 31% e al 35% per le donne con figli, rispetto al 4% e al 14% per le donne che non hanno figli. Nonostante l’inserimento delle donne nel mercato del lavoro negli ultimi decenni, il numero di donne attive resta molto inferiore a quello degli uomini; inoltre, in molti casi le donne lavorano meno ore. Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) del 2015, il 76,1% degli uomini in età lavorativa fa parte della popolazione attiva, mentre la percentuale è del 49,6% nel caso delle donne. Al ritmo attuale, avverte l’Onu, ci vorranno più di 70 anni per porre fine al divario salariale tra uomini e donne.
La repubblica