Il gruppo editoriale chiude il 2017 con la raccolta pubblicitaria in calo dell’1-2%. Ok l’utile
L’a.d. Moletto: con i magazine difficile fare soldi, ma è possibile
Hearst Italia chiude il 2017 con un fatturato attorno agli 85 milioni di euro, in calo rispetto ai 91 milioni di euro del 2016, ma con una ultima riga del bilancio, quella dell’utile, che inizia a diventare piuttosto solida. Le attività di Hearst si dividono su quattro società: Hearst magazines Italia, Hearst Marie Claire, Hearst advertising worldwide, Hearst magazines Switzerland.
Mentre nel 2016 quasi tutto l’utile era arrivato da Hearst advertising worldwide, nel 2017 hanno dato un bel contributo ai profitti anche la società che edita Marie Claire, e pure la società svizzera, che comunque, in termini di fatturato, pesa ancora poco con i suoi due milioni di euro.
Hearst magazines Italia, invece, aveva perso oltre un milione di euro nel 2016, e nel 2017 chiude vicina al pareggio: l’organico giornalistico si è ridotto di 30 unità con 15 prepensionamenti e 15 uscite volontarie, e a fine 2017 è partito un nuovo piano di uscite volontarie per impiegati, quadri e dirigenti, che punta a ulteriori riduzioni per 10 unità.
Ci sono stati anche tre licenziamenti, due a Hearst Marie Claire e uno a Hearst magazines Italia, negli ultimi due anni, e più di un mugugno ha provocato l’operazione che nel 2017 ha spostato tutte le attività digital di Hearst Italia a Chiasso, in Svizzera. Ma Giacomo Moletto, amministratore delegato di Hearst Western Europe e di Hearst Italia, prova a spiegare: «In Svizzera al momento lavorano circa 30 persone. E di queste solo poche unità, meno di dieci, lavoravano prima in Hearst Italia. Non li abbiamo deportati a Chiasso, né abbiamo fatto particolari pressioni. In Svizzera si guadagna piuttosto bene, e per noi era molto importante aprire lì una società indipendente, per fare cose nuove in Svizzera, e che seguisse le attività digital per noi e per terzi: già ora oltre la metà del fatturato di Hearst magazines Switzerland proviene da attività digitali per terzi».
I giornalisti di Hearst magazines Italia, nel 2018, sono a stipendio pieno?
Sì.
Come è andata la raccolta pubblicitaria nel 2017?
C’è stato un piccolo decremento, dell’1-2%, rispetto al 2016.
Che andamento hanno le vostre testate di punta?
Gente ha un calo di fatturato, ma continua a guadagnare. Gioia ed Elle Decor, invece, crescono sia per ricavi, sia per utili. Elle e Marie Claire subiscono una contrazione del fatturato e del profitto, ma rimangono i prodotti più redditizi del gruppo. E Cosmopolitan, infine, vira progressivamente verso la sua trasformazione digitale.
Nel senso che diventerà solo digital?
No, assolutamente no. Per Cosmopolitan la carta resta comunque imprescindibile. Però già ora Cosmo fa più utili sul digitale che sulla carta.
In autunno è partito Esquire Italia solo in digitale: come va?
Bene, abbiamo già raggiunto un milione di visite al mese, e i clienti pubblicitari sono molto soddisfatti.
Dove è la redazione?
In Svizzera.
Quante persone ci lavorano?
Ci sono cinque assunti e poi vari contributor.
Potrebbe partire anche l’edizione cartacea di Esquire Italia?
Non posso escluderlo. Ma non adesso. Ora dobbiamo costruire un sito solido di Esquire. E ci serve a mostrare ai clienti pubblicitari che non necessariamente devi avere un prodotto cartaceo per avere identità di brand.
Hearst è un gruppo molto diversificato a livello internazionale, con attività che vanno dai magazine alle tv (Espn e A+E), quotidiani americani, business information (la società di rating Fich), e poi data base medicali, software per la manutenzione degli aerei. I conti vanno bene, e il gruppo continua a investire nei magazine. In base a quale logica?
Le performance della divisione magazine internazionale hanno avuto alti e bassi. Ma è una divisione che è sempre stata redditizia. In questo scenario l’ultimo anno è stato buono, con l’acquisto delle testate Rodale negli Usa, di Gruner und Jahr in Olanda, e con Esquire e Cosmopolitan che sono tornati a essere pubblicati direttamente da Hearst in Spagna. Oggi, nel settore magazine, ci sono due vie: uscire o consolidare. Noi stiamo scegliendo di consolidare, perché con i magazine è difficile fare soldi, ma è possibile.
In Italia continuerete a raccogliere la pubblicità per editori terzi?
Sì, nel settore dei familiari, dove a Gente affianchiamo Intimità e le testate del gruppo San Paolo, e nei siti web in area femminile.
Il gruppo News 3.0, per cui già raccogliete Lettera D, è uscito dal contratto con Italiaonline. Vi siete parlati?
Sì, loro vorrebbero una concessionaria unica anche per gli altri loro siti. Ma noi adesso non siamo pronti.
Claudio Plazzotta, ItaliaOggi