Le telecamere nascoste di Project Veritas, la testata del discusso James O’Keefe, raccolgono le confessioni dei dipendenti a cena e al bar. “Sappiamo molto dei nostri utenti, ma non arriviamo ai livelli di Google e Facebook”
La domanda, in fondo, vale per tutti i servizi digitali e in particolare per i social network. Quando apriamo la nostra pagina o sottoscriviamo un abbonamento, accettiamo un lungo elenco di regole che li protegge da ogni nostra possibile azione. Ma noi non abbiamo nessuna vera garanzia di esser protetti da loro. Da qui è partito il sito Project Veritas guidato da James O’Keefe, classe 1984, attivista americano legato ai conservatori famoso per le sue inchieste dirompenti e i video registrati di nascosto. Inchieste spesso messe in discussione per la manipolazione dei materiali e le frasi usate fuori dal loro contesto.
Stavolta la vittima è Twitter. In una serie di riprese fatte di nascosto, alcuni dipendenti con cariche di medio e alto livello, raccontano come scandaglino i profili delle persone e i loro messaggi personali in cerca di foto di apparati genitali o scabrose. In un bar si sente Clay Haynes, senior network security engineer, dire: “C’è un team di tre o quattrocento persone dedicato a questo”. Un altro impiegato, Mihai Florea, afferma: “Non siamo inquietanti come Facebook e Google, ma sappiamo parecchie cose”.
Abbiamo chiesto direttamente a Twitter se conferma che le persone viste nel breve documentario lavorano effettivamente nel social network. La risposta è questa: “Le persone raffigurate in questo video stavano parlando a titolo personale e non rappresentano o parlano per Twitter. Deploriamo le tattiche ingannevoli e subdole con le quali è stato ottenuto il filmato e la narrativa predeterminata. Twitter si impegna a far rispettare le nostre regole e a promuovere ogni voce sulla nostra piattaforma, in conformità con le regole della compagnia”.
Che la pluralità sia garantita anche contro ogni ragionevole dubbio è un dato di fatto. Basti pensare ai bot russi attivi durante la campagna presidenziale americana e alla proliferazione di messaggi di odio che vengono pubblicati senza alcun filtro in nome della neutralità della piattaforma. Ma qui il punto è un altro: la possibilità da parte dei dipendenti di sondare perfino i messaggi privati, le foto e i video.
In realtà, come spiega Pranay Singh, direct messaging engineer, “è un algoritmo a sondare i messaggi e a creare un profilo virtuale dell’utente”. L’accusa di Project Veritas è che venga fatto per rendere gli spot pubblicitari più efficaci. Lo spettro, o la certezza, è quella dell’esistenza del Grande Fratello che della privacy se ne infischia. “Tutto o quasi resta sui nostri server, comprese le cose più compromettenti”, ammette Clay Haynes. E il giornalista a quel punto si chiede cosa potrebbe succedere se quei dati venissero rubati e divenissero pubblici. Ma, come conclude James O’Keefe, il problema è che Twitter non è l’unico Grande Fratello in circolazione. E non è nemmeno il più importante.
Jaime D’Alessandro, Repubblica.it