Il Presidente Usa è impegnato in uno scontro con le principali testate dell’informazione americana: quando la realtà supera la fantasia
Trump fa vendere molti giornali. Oggi, in quest’epoca di transizione avanzata, i giornali sono online e Trump può essere misurato anche in clic, e state pur certi che ne vale proprio tanti. Se partiamo da quest’assunto, il quale non ha bisogno di statistiche per imporsi all’evidenza della ragione e degli occhi, la guerra dei media ci appare sotto una luce diversa. Trump, cioè il Presidente degli Stati Uniti, è impegnato in uno scontro all’ultimo sangue con le principali testate dell’informazione americana. Sembra la trama di un film, e in effetti ne è la riedizione, calata ai giorni nostri e in più condita da un capovolgimento semantico: quando la realtà supera la fantasia, o quando la fantasia, se preferite, non sta al passo con la realtà. Pochi caratteri “bollenti”. Trump ha alcuni meriti in questa guerra. Se è vero che probabilmente non l’ha dichiarata lui, di certo la alimenta ogni giorno, non solo con le sue politiche “spacca tutto” ma anche, e soprattutto, coi suoi tweet micidiali. I tweet di Trump non assomigliano a quelli di nessun altro leader. Per fortuna, dirà qualcuno, ma sarcasmo a parte vi sono almeno due grandi differenze. La prima è che li scrive lui, nessun collaboratore e nessun ufficio stampa ha il potere o il mandato di rivederli prima della loro pubblicazione, come accade per tutti gli altri leader mondiali, da Putin a Gentiloni. La seconda è che scrive enormità e provocazioni, le stesse che un qualsiasi ufficio stampa (o anche un avvocato) potrebbe sconsigliare e quindi bloccare sul nascere per lesa maestà del ruolo istituzionale ricoperto. L’impatto dei tweet di Trump sui media americani è stato dirompente. E’ una provocazione costante non solo legata ai contenuti ma anche ai modi, che poi alla fine in una figura come la sua finiscono per coincidere: una dose quotidiana di razzismo e militarismo, misoginia e machismo ha così finito per dare una scossa vivificatrice a testate giornalistiche ricche, potenti ma anche molto autoreferenziali. Le conseguenze. Prima di Trump, quale politico si sarebbe sognato di mettere nel mirino il New York Times e la Cnn, per limitarci alle principali testate? Nessun politico tradizionale, va ammesso; ci voleva questo autocompiaciuto “re degli ignoranti”, che appunto si proclama genio (e probabilmente dal punto di vista mediatico lo è davvero) per innescare un meccanismo virtuoso che ha portato ad almeno tre conseguenze dirette:
1. Il cartello dei media (ai due citati non possono mancare il Washington Post, il Wall Street Journal e, per i palati più fini, il New Yorker) ha dovuto mettersi al passo; lo sforzo per capire, decifrare, raccontare Trump al grande pubblico ne ha stimolato la creatività e la professionalità. Per capire il Russiagate si sono studiati da capo il Watergate e la Costituzione, e così via…
2. I Media hanno aumentato lettori, spettatori e clic. Il giornalismo americano si regge infatti su due pilastri. La liberta d’espressione, e l’obbligo di fatturare questa libertà; nel senso che i Consigli di Amministrazione, a fine anno, vogliono in conti non solo in ordine, ma pure in crescita. E Trump, allo scopo, si è rivelato la gallina dalle uova d’oro.
3. Il cartello dei media, pur con alcune differenze, si sta delineando come il terzo schieramento virtuale nello scenario politico americano, e cioè quel partito liberal che ora non c’è ma i cui potenziali elettori si stanno ancora leccando le ferite per l’amara sconfitta di Bernie Sanders, il vero anti Trump, altro che la Hillary della dinastia dei Clinton. C’è poi un quarto risultato: salvare noi dalla noia, e scusate se è poco.
Alessandro Turci, Panorama