«Non era mai successo. È la prima volta che in Danimarca una ditta o un appalto viene bloccato a causa delle accuse di corruzione nel paese di appartenenza dell’azienda. In questo caso si tratta di un consorzio, composto da tre aziende italiane».
Commentano così i vertici del settore Costruzioni ed impianti del sindacato 3F di Aarhus Rymarken, lo stop deciso dal governo di Copenhagen del contratto da 277 milioni per la costruzione dello “Storstrom Bridge”, il terzo ponte più lungo del Paese. Ad aggiudicarsi l’appalto era stato nell’ottobre 2017 il consorzio di aziende italiane guidato da Itinera, Gruppo Gavio, grazie a un maxi ribasso da 50 milioni. In Italia la notizia venne accolta come un grande successo dell’imprenditorialità italiana, ciò che è successo dopo, invece, è passato sotto silenzio.
A determinare lo stop, le rivelazioni del giornale “Fagbladet” organo dello stesso sindacato, che aveva denunciato come di quel raggruppamento di imprese facessero parte Grandi Lavori Fincosit e Condotte d’Acqua, due società coinvolte nello scandalo Mose in quanto partecipanti del Consorzio Venezia Nuova. Per quell’inchiesta, in Italia alcuni ex top manager delle due società hanno patteggiato e le imprese stesse sono ancora sotto processo per responsabilità in base alla Legge 231.
Anche il coinvolgimento di alcuni ex manager di Itinera nel processo sulla costruzione del terminal ferroviario T1-T2 di Malpensa, gestita da Ferrovie Nord Milano, con i sub appalti finiti ad aziende accusate di contiguità con la ‘ndrangheta, non ha certo giovato.
Tutte notizie che erano “sfuggite” alle autorità danesi, le quali, a seguito della campagna del sindacato e delle proteste dei partiti Social democratico e Populista, hanno prima sospeso la firma dell’accordo (prevista per fine dicembre), poi disposto un’indagine da parte dell’Avvocatura di Stato. Mercoledì 10 gennaio l’epilogo: l’Avvocato di Stato ha valutato che tutte le regole sono state seguite e, nonostante la causa in atto in Italia, le aziende possono partecipare all’appalto, visto che dal punto di vista legale non esistono le basi per escluderle.
Tuttavia, il Governo, sentita la relazione dell’Avvocatura, ha stabilito un ulteriore esame delle aziende prima di firmare. Il ministro Ole Birk Olsen ha infatti riferito che l’esecutivo danese intende essere certo che la costruzione venga realizzata nei tempi previsti e ai costi preventivati.
A far scattare l’ulteriore rinvio di due settimane della firma, le nuove rivelazioni di Fagbladet, il quale martedì 9 gennaio aveva pubblicato la notizia che la Condotte aveva dovuto bloccare la costruzione di una grande opera in Norvegia per mancanza di liquidità. Per il giornale, numerose aziende norvegesi avevano dovuto mandare a casa gli operai ed una era fallita per i pagamenti mancati. La stessa Condotte, inoltre, l’8 gennaio aveva presentato al Tribunale di Roma una istanza di concordato preventivo.
La valutazione sarà quindi spostata sulla tenuta economica delle tre aziende. Il Vejdirektoratet, il Direttorato danese delle strade, chiederà quindi come intendono sostenere il peso economico della costruzione del ponte qualora una delle tre aziende desse forfait.
Un episodio che rappresenta plasticamente la distanza tra Italia e Nord Europa. Nel nostro Paese esistono stringenti normative antimafia, ma le società indagate, processate e anche condannate per corruzione, non vengono espulse dal mercato a favore di quante si comportano lecitamente. La “cattiva fama” non è quindi un elemento discriminante. Nel nord Europa, invece, accade il contrario: niente normative ad hoc, perché tutto ruota intorno alla fiducia. Che è merce difficile da maneggiare e soprattutto deperibile.
«Le nostre autorità sono state colte di sorpresa, in quanto la società danese è costruita sulla fiducia, crediamo nel prossimo, che è uno dei motivi per i quali la Danimarca è considerata uno dei paesi più felici del mondo. Ma forse siamo stati un po’ troppo ingenui. Ci sono buchi nella nostra legislazione, per esempio non esiste la certificazione antimafia. Tutto è basato sulla fiducia nel corretto modo di agire da parte delle aziende e nella convinzione che esse non abbiano accuse di corruzione pendenti. In generale la nostra legislazione è impreparata alla corruzione» commentano dal sindacato danese.
Insomma, al Nord, la reputazione ha un valore e quando si sbaglia, si paga. «Eravamo convinti che quando un’azienda italiana vince un appalto in Danimarca era perché aveva vinto la migliore, ma purtroppo questo pensiero l’abbiamo dovuto rivedere», continua il direttivo sindacale.
Oltre all’affare “Storstrom Bridge”, a demolire la reputazione dei nostri operatori economici in Danimarca hanno collaborato altre “sventure” imprenditoriali. L’ultima in ordine di tempo è stata la denuncia, sempre del combattivo 3F, delle infiltrazioni ‘ndranghetiste nei cantieri della metropolitana leggera di Aahrus:
«3F ha denunciato alla polizia danese nell’estate 2016 la presenza di subappaltatori sotto le dipendenze di GCF (Generali Costruzioni Ferroviari, ndr). Una delle aziende che lavorava in subappalto è stata poi interdetta dalla prefettura, l’altra è stata coinvolta in varie indagini in Italia. La polizia danese, invece, chiuse le indagini dopo 10 giorni».
Il riferimento è alla New World Construction e alla Nicofer, società legate alle famiglie Giardino e Nicosia, clan di Isola Capo Rizzuto, in Calabria. Allora il sindacato denunciò il “social dumping” (cioè il mancato rispetto delle norme del modello danese del lavoro su paga d’ora, straordinari, riposo, ferie etc..) nei cantieri dove lavoravano operai italiani:
«Non siamo nazionalisti e non facciamo una battaglia contro le aziende italiane, o di altri paesi. La nostra opinione è che il lavoro deve essere svolto nelle stesse condizioni e secondo il modello lavorativo danese: un operaio straniero deve avere lo stesso stipendio e gli stessi diritti ai colleghi danesi. Siamo contenti di avere manodopera straniera fin quando questa ha le medesime condizioni di quella danese». Invece, spiegano ancora da 3F, nei cantieri degli italiani «gli operai raccontano di lavorare molte più ore di quelle per le quali sono pagati e che lo stipendio non equivale a quello scritto in busta paga. Tuttavia alla fine nessuno ha mai il coraggio di testimoniare», spiegano dall’organizzazione.
A tutto ciò si deve poi aggiungere la non certo memorabile figura collezionata da Ansaldo-Breda nel 2011 con la fornitura degli 83 treni Ic4 e Ic2, consegnati in ritardo e afflitti da infiniti difetti, tanto che l’azienda dovette prima modificarli e poi ritirarli. In un tripudio di penali e spese lievitate.
«La reputazione delle aziende italiane ha sofferto a causa dello scandalo Ansaldo. Quei treni non hanno mai funzionato perfettamente e sono costati alle casse pubbliche un bel po’ di soldi. L’ultimo IC4 è stato demolito nel 2017. L’unico ad aver goduto di un vantaggio di quella compravendita fu Mu’ammar Gheddafi, che ricevette in regalo alcuni nostri convogli dall’allora presidente Silvio Berlusconi», conclude il sindacalto danese. Oggi Gheddafi è morto, gli IC4 sono stati distrutti e anche la credibilità italiana in Danimarca non se la passa affatto bene.
Andrea Sparaciari, Business Indider Italia