Dopo i colloqui al Quirinale col premier Gentiloni e i presidenti delle Camere, Grasso e Boldrini, il capo dello Stato ha firmato il decreto presidenziale di fine legislatura. E in serata il Consiglio dei ministri ha indicato il giorno delle prossime elezioni e il successivo 23 marzo data di insediamento del nuovo Parlamento
Il Quirinale ha deciso, il presidente Mattarella ha sciolto le Camere. Fine ufficiale della XVII legislatura. La doppia salita al Colle del premier Paolo Gentiloni – prima intorno alle 15 e poi poco dopo le 18 – ha accorciato i tempi. Nessun rinvio per urgenti riforme, nessun governicchio, si andrà al voto il 4 marzo, come da tempo ipotizzato, dunque fra poco più di 60 giorni.
Per il premier è stata una lunga e intensa giornata. Gentiloni era giunto una prima volta intorno alle 15 al Quirinale per incontrare il presidente, poi al Colle è salito il presidente del Senato Pietro Grasso e, dopo di lui, come prassi vuole quando si avvia la procedura di scioglimento delle Camere, è stato il turno della presidente della Camera Laura Boldrini. Al termine di questi passaggi istituzionali, il capo della Stato ha potuto fare il passo atteso, firmare il decreto di scioglimento del Parlamento, che è stato subito dopo controfirmato dal premier uscente.
Nel primo incontro con Mattarella, Gentiloni si era soffermato a fare un bilancio dell’attività di governo, poi un giro di orizzonte politico prima di mandare in soffitta la XVII legislatura. Così in mattinata lo stesso premier aveva tratteggiato i temi del colloquio, durante la conferenza stampa di fine anno, ma nulla di ufficiale era trapelato.
Nel tardo pomeriggio c’è stato un altro passaggio chiave: un Consiglio dei ministri lampo ha subito deliberato la data delle prossime elezioni politiche, ed è stata confermata la data del 4 marzo come da tempo ipotizzata, smentendo così le trame di rinvio evocate anche ieri da Lega e M5s. Non solo. Il Cdm ha stabilito che la prima riunione del nuovo Parlamento sarà il 23 marzo. Non è stato però esaminato, pur essendo all’ordine del giorno, il delicato decreto sulla missione italiana in Niger.
In mattinata, il premier aveva tracciato davanti ai giornalisti il bilancio dei suoi dodici mesi a palazzo Chigi: “Abbiamo dimostrato che c’è una sinistra di governo al servizio del Paese”, ha detto tra l’altro. Ha annunciato: “Farò campagna elettorale per il Pd, forza tranquilla, e il mio governo non tirerà i remi in barca fino alla fine”. Ha voluto sottolineare che “la legislatura è stata fruttuosa” e che “l’Italia che si è rimessa in moto dopo la più grave crisi del dopoguerra”. Con anche un passaggio in romanesco dal solitamente compassato primo ministro: “L’Italia è nell’export uno dei quattro-cinque maggiori player al mondo. E come si dice a Roma ‘nun ce se crede’”.
Sullo Ius Soli ha ribadito: “Non c’era incertezza sui contenuti, ma sui numeri”. Poi una sferzata sulla commissione banche: “Ho registrato con sollievo la fine delle audizioni, non credo siano state utilissime. Ho insistito io perché Boschi restasse nel governo”.
Simona Casalini, Repubblica.it