Del Vecchio vara un nuovo riassetto: esce Vian, Milleri ceo: «Lascerò quando avrò realizzato tutto ciò che ho in mente»
«Portare la quotazione di EssilorLuxottica anche a Milano lo ritengo un valore aggiunto importantissimo per tutti i nostri azionisti. Mi impegnerò per questo». Leonardo Del Vecchio è appena uscito dal consiglio di amministrazione che ha approvato una nuova revisione della governance della multinazionale degli occhiali. E in questa intervista affronta i molti temi che riguardano la società. Uno, importante per il mercato finanziario, è proprio il luogo di quotazione, considerato il peso specifico di Luxottica sul listino. Rilevante, però, anche sotto il profilo dell’immagine: per dire che il nuovo gruppo sarà assolutamente globale, ma non sarà «più francese che italiano» come molto si è scritto. L’altro snodo del colloquio è l’annuncio della nascita della Fondazione Del Vecchio, dipendente dalla Delfin, la holding di famiglia. Un organismo non profit che ha già concluso il suo primo intervento: è entrata con una quota rilevante nello Ieo (l’istituto fondato da Umberto Veronesi) e nel Monzino. Ma andiamo con ordine e partiamo dalla governance. Il comunicato diffuso a Borsa chiusa dice che la società «semplifica l’assetto organizzativo»: esce, tre mesi prima della scadenza naturale del mandato, l’amministratore delegato prodotto e operations Massimo Vian e le sue deleghe vengono rilevate dallo stesso Del Vecchio, che è presidente esecutivo di Luxottica, e da Francesco Milleri, il vice presidente che, ieri, è stato nominato anche amministratore delegato di Luxottica. Nel Cda è entrato il direttore finanziario Stefano Grassi.
Un nuovo passo per la governance di Luxottica: è il disegno che ha avuto in mente fin da quando ha ripreso le redini del gruppo?
«I processi sono molto più semplici di come a volte si vogliono leggere. In realtà per la governance di Luxottica cambia veramente poco. Il disegno è sempre stato chiaro perché fin dall’inizio sapevamo di cosa l’azienda aveva bisogno. Doveva ritrovare velocità, spirito imprenditoriale e coerenza e per farlo siamo passati attraverso fasi intermedie».
Sì, ma perché Milleri?
«Perché in questi tre ultimi anni ha condiviso con me ogni decisione importante in tutte le aree e in tutti i mercati. Mentre l’amministratore delegato Vian si occupava delle operations — e a lui va il mio sincero ringraziamento per tutti gli anni, tredici, in cui ha lavorato in Luxottica — io mi sono occupato di aggiustare, rifondare e migliorare Luxottica adeguandola ai tempi. E ho potuto farlo grazie a Francesco Milleri e alla sua visione digitale dell’azienda e dei mercati. Non solo: è Milleri che ha raggiunto l’accordo con Essilor in soli 15 giorni. Visto che, da quello che leggo sui giornali, si sta avvicinando il via libera della Ue all’integrazione — anche se poi ne attendiamo di altri importanti come quello americano, cinese e brasiliano — ho voluto che fosse chiaro che l’interlocutore dei nostri partner francesi per quanto riguarda Luxottica è lui. Non solo…»
Cos’altro?
«Considerata la mia età, ho espressamente voluto che nel contratto sottoscritto con Essilor, sia Francesco Milleri a sostituirmi nel caso io venissi a mancare».
Intende dire che sarà anche il prossimo Ceo di Essilor/Luxottica? I francesi hanno detto in una intervista al Financial Times che state cercando il prossimo capo azienda…
«L’accordo, già firmato e approvato dalle assemblee di Essilor e Delfin, prevede i ruoli chiave in maniera chiara e precisa. Io sarò il presidente esecutivo, Hubert vice presidente esecutivo, abbiamo gli stessi poteri. La scelta del capo azienda si porrà solo in futuro».
Veramente sul mercato si è parlato spesso di contrasti con il partner francese. Come sono realmente i vostri rapporti?
«Abbiamo tante complementarietà e anche affinità culturali, così come punti di forza differenti che potremo valorizzare per i nostri gruppi e la futura EssilorLuxottica. Anche le diversità, infatti, rappresentano una ricchezza importante per il futuro. Sono comunque molto tranquillo».
EssilorLuxottica potrebbe, ipoteticamente, anche essere rimessa in discussione in caso di disaccordo?
«Non credo proprio. In ogni caso, non è Luxottica che subirebbe un danno».
La nuova governance approvata ieri prepara la sua uscita dall’operatività?
«No. Non mi sono mai divertito tanto, ho imparato molte cose che non sapevo. Continuerò a guidare il processo di integrazione con i partner francesi, concentrandomi sulle decisioni strategiche. Lascerò quando sentirò di aver realizzato tutto ciò che ho in mente».
Gli analisi non apprezzano, dicono che Luxottica è tornata al modello padronale.
«Un “padrone” che decide di dimezzare le sue azioni per essere parte di un gruppo più grande, come stanno facendo le corporation di tutto il mondo, lascio giudicare agli altri se sia un difetto. Penso, invece, che se l’Italia avesse più casi come Luxottica saremmo il Paese più bello d’Europa».
Cosa pensa della nuova governance di Unicredit, banca di cui lei è uno dei grandi azionisti?
«Penso che Unicredit si stia muovendo nel solco giusto. Certamente, finché i tassi saranno così bassi tutte banche del mondo si trovano in difficoltà, ma la situazione finanziaria di istituti come Unicredit e IntesaSanpaolo non è di quelle che possano preoccupare. Piuttosto Unicredit dovrebbe unirsi a qualche altra banca come ha fatto Intesa con il San Paolo, si pone anche per gli istituti di credito il tema delle dimensioni che vale per tutte le aziende. Ma questo è solo il mio pensiero personale».
La Fondazione che ha appena costituito avrà legami con Luxottica? Potrebbe, in un futuro, per esempio detenere quote del gruppo degli occhiali, un po’ sul modello scelto da Giorgio Armani?
«Assolutamente no. La Fondazione è una iniziativa di Delfin, quindi personale della famiglia Del Vecchio. Luxottica non è, e non sarà, in alcun modo coinvolta». Come vede la situazione italiana? E le prossime elezioni? «Cosa vuole che dica? È un teatro dove gli attori promettono tutti più o meno le stesse cose. Direi che oggi il cittadino ha più domande che risposte».
Maria Silvia Sacchi, Corriere della Sera