Se Dio si vedesse, non sarebbe lui. Ma ragione e cuore possono osservarlo. Lo sostengono da sempre letterati, filosofi e scienziati. A Lanza, dubbioso sulla fede, rispondo citando Maxwell: «Quando gli occhi del corpo si chiudono, l’anima si ritrova oltre le sfere»
Tempo fa Cesare Lanza ha lanciato dalle pagine della Verità una provocazione sulla fede religiosa. Colgo il suo suggerimento perché, nonostante questo sia un quotidiano, che tratta di ciò che accade qui e ora, tutti noi viviamo anche a seconda del senso che diamo al nostro presente e al nostro futuro: sulla Terra e dopo la morte. Eh sì, perché è diverso vivere ritenendo che tutto ciò che noi dobbiamo ottenere sia qualcosa di terreno, o vivere pensando che il fine, il senso della nostra vita, la nostra vita compiuta e realizzata, sia qui, ma anche oltre i muri di questo mondo. Personalmente, lo dico subito, concordo con Ludwig Wittgenstein (1889-1951): «Io so che questo mondo è […] Che in esso è problematico qualcosa, che chiamiamo il suo senso. Che questo senso non risiede in esso ma fuori di esso […] Il senso della vita, cioè il senso del mondo possiamo chiamarlo Dio [:..] Credere in un Dio vuoi dire vedere che i fatti del mondo non sono poi tutto. Credere in Dio vuoi dire vedere che la vita ha un senso». La prima obiezione potrebbe essere questa: «Io invece non credo in Dio, né nell’anima, perché non li ho mai visti». Ma quante sono le cose che facciamo molta fatica a vedere, e che pure esistono? La storia della scienza è piena di ripensamenti, dovuti alla impossibilità di poter prendere per certo ciò che si vede a prima vista. Non è stato forse assai difficile per millenni «vedere» che la Terra gira su se stessa e intorno al Sole? O che l’universo, lungi dall’essere immobile e eterno, nasce e cresce? Che la materia è convertibile in energia e l’energia in materia? Non è stato forse inaccessibile per secoli un intero mondo fisico che sfugge allo sguardo umano?
Il mondo materiale
Ma torniamo a Dio. Anzitutto, se Dio si vedesse, non sarebbe Dio: sarebbe qualcosa che è parte del mondo materiale, e che, come tale, non potrebbe essere Creatore del mondo materiale stesso; in secondo luogo perché sarebbe qualcosa che diviene, deperisce, occupa un tempo e uno spazio, sottomesso alle leggi naturali. Ma se Dio esiste, egli è il Creatore e il Signore della materia e delle leggi: è dunque altro da esse, così come l’uomo è altro dai manufatti che costruisce, e di cui è, analogamente, «creatore». Se si potesse entrare in un computer, non avrebbe senso dire: «Guarda, nel computer non vi è nessun uomo, significa che si è fatto da sé», perché è evidente che il computer è stato assemblato da qualcuno di esterno ad esso. Così è bizzarro ritenere di poter trovare, dentro l’universo creato da Dio, non le sue tracce, ma Dio stesso contenuto nella sua creazione. Proprio sulla base di analoghi ragionamenti Isaac Newton riteneva che l’universo fosse governato da Dio, «ente eterno, infinito, assolutamente perfetto», «onnipotente e onnisciente… completamente privo di ogni corpo e di ogni figura corporea, e perciò non può essere visto, né essere udito, né essere toccato…» (Isaac Newton, Scholium generale, in Newton. Classici, Utet, Torino 1965). Il secondo motivo per il quale la frase «Non credo in Dio, perché non lo vedo» non si sostiene è perché «non vedo» significa poco. Infatti, come insegna Antoine de Saint-Exupéry, «l’essenziale è invisibile agli occhi». Del resto gli occhi fisici non sono unicamente lo strumento di una capacità di vedere molto più profonda, non misurabile, quella dell’intelligenza e del cuore? Se apriamo un corpo, non troviamo la «vita»; se osservo un cadavere, vedo che è ben diverso da un uomo vivo, però non vedo nulla che sia venuto a mancare. Se il chirurgo apre, un cervello, non trova dei pensieri: eppure il nostro pensiero lo sperimentiamo ogni istante. Basta chiudere gli occhi, per sentirlo «lavorare»; basta aprirli, per vedere che il nostro corpo obbedisce alla nostra, invisibile, volontà. Se l’anatomista disseziona un cuore, non trova emozioni e sentimenti, ma solo un muscolo. Eppure i sentimenti agitano tutto il mio corpo, fanno arrossire la mia faccia, generano sorrisi o lacrime.
Il movente di un’azione
Se guardo un’ azione di un’altra persona, vedo dei fatti, ma non scorgo il movente di quella azione: tuttavia senza quel movente, non ci sarebbe neppure quell’azione. Dunque ciò che non si vede è ancora una volta la causa di ciò che si vede. Ora il mio sguardo si allarga, e osservo i cieli e i pianeti: ma il loro movimento, il loro ordine, è dato dalle invisibili leggi fisiche. Come ci insegnano i matematici, da Pitagora in poi, tutta la natura visibile è regolata dal numero, invisibile, fuori del tempo e dello spazio. I numeri e le leggi, invisibili,
universali, permanenti, regolano realtà fisiche visibili, specifiche, transeunti, e le determinano, così che la materia non fa altro che obbedire. Ciò significa che mentre vediamo materia specifica (questo 0 quell’oggetto, questa o quella galassia, questo o quel fiore), che cresce, invecchia e si dissolve, non vediamo ciò che fa sì che tutto questo accada! Per questo igrandi matematici sono sempre stati dei
metafisici: cogito ergo sum (penso dunque sono, ndr), diceva Cartesio; i numeri sono «pensieri di Dio», suggeriva Keplero; «Non c’è nessun dubbio che gli spiriti costituiscano la parte più importante del mondo e che i corpi esistano solo per stare al loro servizio», scriveva Leonardo Eulero; «L’affermazione che il nostro ego consiste di molecole di proteine mi sembra una delle più ridicole mai sentite…», affermava Kurt Godei, mentre la scoperta della matematica fu per Albert Einstein una vera rivelazione: «Mi parve una rivelazione del Sommo artefice; non me lo dimenticherò mai» (Abraham Pais, Einstein è stato qui, Bollati Boringhieri, Torino, 1995). E che dire in generale della fisica moderna? Commentando Werner Heiseberg, premio Nobel per la Fisica nel 1932, uno dei padri della quantistica, che riteneva del tutto sorpassata la «vecchia ontologia materialista», Valentina Cappelletti ricorda che «gli atomi spiegano la costituzione del mondo non in virtù della loro corporeità, bensì di due caratteristiche immateriali, la posizione e il movimento». Per questo «di Democrito e della sua concezione atomistica la scienza moderna non conserva affatto il materialismo, bensì l’idea di una potenzialità creativa che scaturisce proprio dalla disposizione spaziale astratta di elementi la cui corporeità diviene, per conseguenza, del tutto irrilevante» (Valentina Cappelletti, Dall’ordine alle cose. Saggio su Werner Heisenberg, Jaka book, Milano, 2001)
Le lettere dell’alfabeto
Un po’ come nel caso delle lettere dell’alfabeto: la possibilità di produrre infiniti discorsi e significati attraverso un numero finito di segni grafici materiali, non sta nella fisicità di questi ultimi, ma nella
capacità «divina» dell’intelligenza umana di combinarli e di concatenarli, liberamente. Possiamo dire lo stesso per una melodia (non è tanto la somma di determinati suoni fisici, ma il modo con cui essi vengono messi in relazione tra loro dalla libera creatività del musicista); oppure per una cattedrale (essa è composta
sì dalle pietre, ma secondo il disegno, il progetto dell’architetto); oppure per il codice genetico, il Dna. In conclusione dire dunque che ciò che non si vede con gli occhi del corpo non esiste non è secondo, ma contro la nostra ragione, realtà invisibile capace di sondare, parzialmente, visibile e invisibile. Inoltre, lungi dall’essere la negazione di un credo, è, a tutti gli effetti, una fede. Il suo primo dogma è questo: credo solo a ciò che vedo, tocco, ascolto… cioè credo solo alla materia, perché esiste solo la materia, perché «tutto ciò che esiste è uscito dal grembo della materia» e «la materia agisce da sé» (Paul Henri Thiry d’Holbach, II buon senso). Ma la materia è cieca e non intelligente; è morta e non viva; non pensa, non ama, non desidera… Essa appare incapace di giustificare alcunché, persino sé stessa e il suo ordine. Per questo il credente pensa: «La vita, la consapevolezza, la mente, l’io possono provenire solo da una fonte che è viva, consapevole, pensante. Se noi siamo dei centri di coscienza e di pensiero in grado di conoscere, amare, di avere intenzioni e di attuarle, non riesco a capire come tali centri possano giungere in essere da un qualcosa (l’universo materiale, ndr) che è esso stesso incapace di compiere tali attività» (Roy Varghese). Concludo con alcuni versi di James Maxwell, il massimo fisico dell’Ottocento: «Quando, la mente libera dallo studio, a tarda ora mi sdraio per dormire / Dal cuore dei fatti e dei numeri, in uno spazio sconfinato balzo / perché il mondo interiore si fa più ampio mano a mano che il mondo esterno scompare / e l’anima, ritiratasi verso l’interno, si ritrova oltre le sfere».
Francesco Agnoli, LaVerità