Ho un rimpianto: il mancato litigio con l’Oriana furiosa. Donna incredibile, mito giornalistico esagerato. Se penso a lei, non riesco a separare l’antipatia dall’ammirazione. Volevo farla scrivere, ma fui troppo cortese nell’approccio.
Un ‘irascibile grande firma, insicura ma piena di sé e costantemente avida di adrenalina e di clamore. Si annoiava se obbligata a colloqui regolati dal bon ton. Si spense il 15 settembre 2006. Negli ultimi giorni beveva solo champagne ghiacciato e tè bollente. Con l’esofago chiuso dalla malattia, era tutto ciò che riusciva a deglutire. Non posso nascondere la mia istintiva antipatia per Oriana Fallaci, per due motivi. Il primo, il suo leggendario caratteraccio: tutti dovevano misurare le parole, star bene attenti a evitare fraintendimenti o pretesti, che la inducessero a scenate prive di senso, quasi sempre ingiustificate. Il secondo è più razionale, professionale: le sue celebri interviste erano alterate, non corrispondenti alla verità; anche i reportage di guerra nascevano spesso dalle confidenze di amici fotografi, o altri, che andavano in prima linea, mentre lei restava tranquilla in albergo o nelle retrovie, a sorseggiare whisky o champagne. Innegabile invece, di più: altamente apprezzabile, la sua qualità di scrittrice. Come scrittrice aveva imposto in modo perentorio (letterario, riconoscibile) il suo stile in tutto il mondo, grazie all’intelligenza, e all’astuzia, di affidarsi al mercato americano: ha superato, pubblicando 14 libri, quasi tutti di qualità, la fama e il successo, non esclusi i guadagni, di qualsiasi altro autore italiano. Per quanto riguarda il suo mito – esagerato – di giornalista, sono numerosi i giudizi critici, acidi, comunque severi. Provenienti dalle fonti più diverse. Tiziano Terzani: «Nelle sue parole sembra morire il meglio della testa umana – la ragione; il meglio del cuore – la compassione». Giulio Andreotti: «È di un massimalismo non giusto. Mi dispiace tanto, ma sbaglia.» Marco Travaglio: «Una grandissima scrittrice, ma non una grande giornalista, perché aveva un rapporto con la verità piuttosto soggettivo. Non c’è un intervistato di Oriana Fallaci che si riconosca nelle interviste. Perché lei intervistava sempre sé stessa.» Massimo D’Alema: «Vergognosa. Mi sembra molto più importante parlare della tragedia di Jenin (strage israeliana in un villaggio palestinese, ndr) che di Oriana Fallaci». Fausto Bertinotti: «Fallaci si è ormai distinta per un’avversione a tutte le differenze, a tutte le diversità, cioè all’umanita». Massimo Fini: «La Fallaci è vissuta vendendo balle… Non esisteva alcun complotto dietro la morte di Pier Paolo Pasolini, la tesi fu innescata da Oriana Fallaci, stando dal parrucchiere, sfogliando alcune riviste… Era convintissima di essere seguita dalla Cia, era convinta di essere perseguitata. Io sorridevo di questa megalomania». Domenica scorsa, scrivendo il ritratto di Camilla Cederna, ho ricordato la rivalità tra le due primedonne. Quando Oriana arrivò all ‘Europeo, era solida la fama di Camilla: un’indiscutibile supremazia. La Cederna era sovrana assoluta. Oriana era invidiosa, Camilla superba al punto da trascinare l’ambiziosa rivale davanti al direttore del settimanale per ingiungerle di non cominciare mai più un articolo con un avverbio: «Quello è il mio stile!», sibilò. Poi, a poco a poco, le posizioni si ribaltarono, grazie ai reportage e alle intervistone di Oriana con i grandi della terra. Addirittura i lettori, gli addetti ai lavori, i salotti si divisero in due fazioni: i cederniani, che adoravano la finezza smagliante di Camilla; e i fallaciani, avvinti dall’impetuosità aggressiva e impulsiva di Oriana. Paola Fallaci, sorella affettuosa ma lucida di Oriana, ricorda che gli scontri erano quotidiani, con una diversità totale. Oriana, quando si infuriava, era capace di tirarti addossò la macchina da scrivere. Le provocazioni di Camilla erano sottili, perfide, caustiche. Non meno spettacolare, sebbène isolato, fu lo scontro tra la Fallaci e un’altra grande firma, femminile, del giornalismo: Natalia Aspesi. L’Oriana invitò a casa sua Natalia per parlare del suo libro Lettera a un bambino mai nato, e chiacchierarono per un’intera notte. Dopodiché Natalia, che è una donna di grandi qualità (eccone una, la libertà di mente) scrisse che il libro non le era affatto piaciuto: con la sua abituale ironia, sobria e penetrante, sul Giorno, il suo giornale di quell’epoca. Come da copione, la Fallaci andò su tutte le furie e replicò su Playboy, andando giù piatta: rinfacciando alla collega la minestrina che le aveva preparato, i cuscini per il letto, senza escludere confidenze che Natalia le aveva addirittura fatto in intimità, sulle ovaie e problemi delicati, anche sessuali. L ‘Aspesi non replicò (un’altra grande qualità: mai cedere a polemiche volgarucce, personali) e si negò ai tentativi di tutti i giornali di creare un nuovo caso, tra gossip da portineria e rivalità editoriali. Semplicemente, chiuse ogni rapporto con la celebre scrittrice. Se ne evince che, come sempre, la Fallaci non sopportava che si potesse parlare di lei in modo critico, e nelle sue reazioni sempre spuntava una certa velenosa e gelosa altezzosità. In questa cornice, quando a metà degli anni Settanta dirigevo il Corriere d’Informazione, tentai un’impresa impossibile: convincere la Fallaci a scrivere qualche articolo per il mio amato quotidiano, edizione pomeridiana del Corrierone. Avevo un certo timore degli eccessi dell’Oriana di cui tanto avevo sentito parlare, con i commenti più diversi. Fui attento, compunto, rigorosamente educato (un record comportamentale per me). E di conseguenza non mi sentii a mio agio. Sorprendentemente, lei fu altrettanto ineccepibile. La proposta cadde irrealizzata, non ricordo neanche più con quale motivazione. Mi resta il dubbio che, se fossi stato me stesso, senza quei riguardi un po’ ridicoli, da commedia all’italiana, forse sarebbe esplosa qualche bella litigata, ma forse sarebbe nato un rapporto vero e schietto; e chissà forse sarei riuscito a ottenere la firma dell’irraggiungibile star. Oggi sono convinto che l’irascibile grande firma, insicura ma piena di sé, e costantemente avida di adrenalina e di clamore, si annoiasse terribilmente, quando si trovava obbligata a colloqui e incontri regolati dal bon ton! E dopo di allora non ebbi mai più incontri significativi. Mi sembrano evidenti le mie riserve mentali, forse poco oggettive. Tra la Cederna e la Fallaci, tutta la vita Camilla, a patto però di buttare nel cestino le sue smodate, crudeli campagne contro Giovanni Leone e Luigi Calabresi. Tra la Aspesi e la Fallaci, tutta la vita Natalia, senza riserve. Ma sento il desiderio di essere equilibrato e dunque vorrei riportare anche alcune opinioni benevole su Oriana, lasciando da parte quelle convenzionali in occasione della sua morte. Giuliano Ferrara scrisse che era «una creatura meravigliosa, temibile e vanitosa». Sandro Pertini: «Grande giornalista, grande scrittrice e adorabile rompiscatole». Franco Zeffìrelli, mai facile di complimenti: «Oriana ha onorato Firenze». Paolo Guzzanti: «Aveva capito tutto con anticipo. Era una donna affettuosamente sgarbata». Non mi succede di frequente: se penso a questa donna certamente straordinaria, gli impulsi di antipatia si intrecciano con riflessioni di stima, a volte anche di ammirazione. Ripensando alla lapidaria dichiarazione di Zeffìrelli, per esempio, mi piace la passione di Oriana per la «sua» Firenze. In molte occasioni ha celebrato la sua fiorentinità. Si considerava una «fiorentina pura». Ha scritto, sull’Europeo, raccontando la sua vita: «Fiorentino parlo, fiorentino penso, fiorentino sento. Fiorentina è la mia cultura e la mia educazione. All’estero, quando mi chiedono a quale paese appartengo, rispondo: Firenze. Non Italia. Perché non è la stessa cosa.» Esagerazioni ed eccessi a parte, mi piacciono tutti coloro che si sentono legati alle proprie radici. Non mi piace invece chi volesse definirsi scrittore, anziché scrittrice (forse per sottolineare che si fosse affermata in un ambiente tipicamente maschile). Giochetti verbali, in un senso o nell’altro, stucchevoli, degni di una Laura Boldrini qualsiasi. E mi turbano le indiscrezioni sui suoi presunti aborti spontanei. Mi piace il suo desiderio di maternità, non mi piace (come a Natalia Aspesi) l’operazione letteraria del libro Lettera a un bambino mai nato. Non mi piace che mostrasse di avere carte importanti – non esistevano – su un immaginario retroscena sul delitto Pasolini, con un oscuro movente politico. Mi piace che chiamasse l’Alieno il cancro che la portò alla morte: sono sempre affascinato dai misteri, casualità e destino, che determinano il nostro congedo. Non mi piace che attribuisse l’origine del tumore – era una fumatrice super accanita – al fumo dei pozzi di petrolio che Saddam Hussein aveva fatto incendiare. Mi piace che fosse riuscita ad avvicinare Khomeini, forse la sua intervista più celebre. Non mi piace che nel colloquio Khomeini fosse trattato in parte come un imbarazzato pupazzone, in parte aggressivamente come un tiranno: gran tiranno era, ma poco credibile che questo fosse l’approccio dell’intrepida scrittrice (peraltro uno stile costante e sempre inverosimile nei suoi scritti). Addirittura Oriana scrisse che si tolse di brutto lo chador, che era stata obbligata a indossare per essere ricevuta. E infine mi piace che Oriana volle ritornare in Italia – da lustri viveva a New York, a Manhattan – sentendo avvicinarsi la supremazia dell’Alieno. Silvio Berlusconi le mise a disposizione il proprio jet privato (benché lei fosse decisamente ostile al Cavaliere) affinché potesse tornare in modo riservato. Naturalmente si rifugiò a Firenze, dov’era nata il 29 giugno 1929, prima di quattro sorelle: Neera, Paola ed Elisabetta (adottata quando lei era già adulta). I genitori ebbero una netta influenza sul suo carattere. La madre, Tosca, era una donna colta e sensibile, insegnante e amante di letteratura. Il padre, Edoardo, un uomo forte e coraggioso, era un perseguitato politico. Un partigiano. E la coinvolse, quando lei era ancora una giovinetta, a 14 anni, nella Resistenza: come staffetta, nella Brigata giustizia e libertà, per trasportare munizioni e messaggi segreti. Il suo nome di battaglia era Emilia. Infine, ispira ammirazione il suo carattere precocemente ribelle: a scuola, all’università, nei primi passi da giornalista, all’esordio nel Mattino dell’Italia centrale… «Era un giornale democristiano, io tutt’altro». E si rifiutò di scrivere un articolo contro Palmiro Togliatti. Si spense il 15 settembre 2006. Negli ultimi giorni, beveva solo champagne ghiacciato e tè bollente, era tutto ciò che riusciva a deglutire, con l’esofago chiuso dalla malattia.
di Cesare Lanza, su La Verità