Luisa Franzone: il sogno dell’archeologia, poi la carriera nel colosso olandese dei beni di largo consumo e la nomina a responsabile della supply chain. Che la nascita di un figlio non ha arrestato, nonostante gli anni lontana da casa
Da Genova, città di mare, alle nebbie lombarde di Casalpusterlengo, dall’archeologia, passione del liceo classico, all’ingegneria chimica, con indirizzo ambientale in un tempo in cui quasi non esisteva, passando persino per le piattaforme petrolifere. “Siamo arrivate alla laurea in due su 18. Mi sono innamorata dell’ingegneria ambientale e mi è sempre piaciuto esplorare nuove realtà”.
Genovese, 53 anni, Luisa Franzone è da gennaio il direttore della supply chain, catena di fornitura di Unilever Italia, responsabile della pianificazione, produzione e distribuzione ai clienti finali, inclusa la supervisione dei cinque stabilimenti italiani della multinazionale olandese che, con 3500 addetti, producono per l’Italia e l’Europa marchi alimentari e detersivi per la pulizia della casa e della persona.
In inglese si dice tough but fair, dura ma giusta, e la manager si riconosce in questa definizione. “Ci vuole una dose di energia, di determinazione e di tenacia; ogni giorno è diverso, sai che le persone fanno riferimento a te, devi dare delle risposte, individuare problemi che vanno risolti. Quello che mi dà più soddisfazione è che, anche dopo anni, le persone ancora nell’azienda mi chiamano per chiedere suggerimenti o semplicemente per avere occasione di ascolto. Perché, anche se sono dura, sono stata capace di sviluppare relazioni personali”.
La sua carriera inizia con Unilever, “che non conoscevo. Faccio un minimo di ricerca sui sistemi e trovo questa multinazionale che da oltre 50 anni è radicata sul territorio italiano con cinque stabilimenti”. Un colloquio a Milano “e comincio il mio percorso nel 1992 come ingegnere di processo all’interno del centro di Ricerca e sviluppo a Casalpusterlengo, un nome che mi capitava facendo le parole crociate”.
Si occupa di formulazione, “il contenuto di quella targhetta che trovi sulla bottiglia di Svelto, con l’elenco di tutti gli ingredienti che consentono di lavare i piatti”. In seguito diventa responsabile della qualità e comincia l’esperienza nella supply chain, “cambiando però spesso tipo di lavoro in vari ambiti geografici e di business, tra il coordinamento della qualità in un network di fabbriche e il ruolo di responsabile dello sviluppo del packaging.
Ho sempre cercato di trovare la mia soddisfazione professionale e sono stata fortunata perché ha coinciso con le esigenze aziendali, ho fatto esperienze molto complementari una all’altra che mi hanno fatto crescere, affrontando ogni volta una nuova sfida in contesti diversi”.
Parte della carriera la fa in Italia, poi Luisa Franzone va in maternità: nasce Michele che oggi ha 14 anni. “Appena rientrata al lavoro, mi hanno proposto di andare in Olanda. Lui aveva appena sei mesi, e l’azienda mi ha permesso di fare commuting, pendolarismo. Ho avuto un figlio facile, mai un raffreddore, la fortuna di trovare una Mary Poppins e mio marito Mario, ricercatore in Unilever, che mi ha consentito un rapporto equilibrato. Non ho mai creduto che la presenza fosse l’unico asset”. Quattro anni e mezzo in Olanda, due in Inghilterra, il bambino cresceva, “ma ho fatto sempre in modo di tornare a casa per il fine settimana. E continuo così anche ora che lavoro a Roma”.
La manager e la sua famiglia abitano in un bosco sulle colline di Piacenza, “abbiamo un solo vicino. Vivere in campagna è stata la sublimazione del fatto che mi manca il mare. Quando sei a casa entri in una dimensione che ti consente di vedere le cose in un’altra ottica. È più alienante lavorare in remoto, mi è capitato che dopo uno o due giorni mi mancasse l’interazione personale con i colleghi. Meglio lasciare la famiglia in un contesto sereno e equilibrato e prendersi il carico di stress. Richiede energia e attenzione alla propria salute, però ti rassicura su tutto ciò che è la tua parte privata”. La scelta alternativa era di offrire a suo figlio di muoversi e di avere un’esperienza internazionale, “sarebbe stata un’opportunità, ma dove lo metti anche il dark side quando privi i ragazzi delle loro radici?”.
Membro del board, da dieci mesi Luisa Franzone è punto di riferimento dei direttori degli stabilimenti italiani e risponde a sua volta al quartier generale europeo. Nei tre anni precedenti è stata di nuovo responsabile di stabilimento a Casalpusterlengo, tornando da dove era partita. “La direzione di stabilimento è il lavoro più divertente che abbia mai fatto, perché hai la sensazione di fare davvero la differenza, da un lato sulla vita delle persone, dall’altro sull’efficienza della fabbrica”.
In un ambiente a prevalenza maschile, “non ho mai avuto il complesso di essere donna, e mamma, né ho visto il pregiudizio negli occhi degli altri. Quando ho annunciato di essere incinta, ero più preoccupata io che il mio capo, che mi ha fatto le congratulazioni. Mentre in azienda si parlava della diversity, forse ho percepito la critica più all’esterno, ma magari era solo curiosità”. Franzone lo dice con semplicità: “Sono abbastanza fiera di essere stata la prima direttora di fabbrica per la mia azienda in Italia, la prima di una supply chain nel 2013, la prima non olandese responsabile di un centro di ricerca. Del resto, dei cinque siti produttivi italiani – Pozzilli (Isernia), Sanguinetto (Verona), Caivano (Napoli), Casalpusterlengo (Lodi) e Mappano di Caselle (Torino) per i gelati Grom – in questo momento tre responsabili di produzione sono giovani donne sotto i 35 anni”.
All’interno del suo piano di valorizzazione dei giovani talenti tecnici, Unilever inserisce una selezione di dipendenti nel ‘Future leaders programme’, un progetto per far emergere le loro capacità manageriali, con l’opportunità di collaborare con i più validi esperti mondiali del business. Si viene assunti all’interno di una funzione aziendale, si lavora su programmi concreti con un’esperienza trasversale a varie funzioni, necessaria per diventare un manager. In Italia, su 15 dipendenti che fanno parte del programma, metà sono ragazze e buona parte di loro è laureata Stem, acronimo di Science, Technology, Engineering and Mathematics. Per alcune di loro Luisa Franzone è una figura di riferimento come un vero e proprio coach.
All’archeologia la lega ancora l’antica passione, le piace molto leggere di arte e di storia, è onnivora, spazia dall’evoluzione dell’uomo nella società moderna a Camilleri e Malvaldi, che adora come in genere tutti i libri della Sellerio. “Mi dedico a quello che definirei ‘giardinaggio estremo’, ossia strane cose: coltivo per esempio una decina di limoni che abiterebbero meglio in Liguria o a Sorrento, li curo come fossero dei bambini”. Ogni tanto, racconta, le vengono attacchi di shopping compulsivo. “Non amo truccarmi, non ne sono capace, però mi dedico degli spazi, vado in palestra. Ho due tipi di amiche: uno legato al mondo del lavoro, donne che hanno fatto un percorso di sviluppo di carriera. Con loro condivido un contesto stressante, e confrontarsi è essenziale per aumentare la resilienza. Di altro tipo sono le amiche di sempre. Ho una compagna di scuola ritrovata dopo moltissimi anni ed è come se non ci fossimo mai lasciate”.
Unilever Italia ha generato un fatturato di 1,4 miliardi di euro nel 2015, confermandosi una delle maggiori realtà produttrici di beni di largo consumo sul territorio. “Vendiamo prodotti che per il 70 per cento si rivolgono a consumatori donne, la capacità di interpretare i bisogni dà un vantaggio competitivo”.
Non nasconde che “sì, mi piace eccellere, fare le cose per bene e avere il riconoscimento per il risultato che porto. È bello crescere, costruire qualcosa che lascia un segno ti dà la soddisfazione per andare avanti”. L’ambizione è una dote “che ti carica di energia, è la molla per correre anche se sei stanca”. Genova per lei “è rinata, bellissima. Ci sono i miei genitori, sposati da 56 anni. È ancora casa. Forse è la città dove vorrei invecchiare”.
Patrizia Capua, Repubblica.it