Ma quale nuovo Ulivo, quale centrosinistra allargato. La verità è che il Pd e quel che si muove intorno stanno esplodendo. E Romano Prodi è disperato. “È una tragedia“, è la sua confidenza con gli amici, riportata su Repubblica da Marco Damilano, neodirettore dell’Espresso che il Professore lo conosce bene, benissimo. L’ex premier è prostrato. Vista da fuori, con gli occhi di un elettore di centrodestra, il suicidio democratico sarebbe quasi da festeggiare. Il guaio, sottolinea Prodi, è che questo big bang porta con sé anche conseguenze nefaste per tutto il Paese: “Quale progetto ha l’Italia in Europa, nel Mediterraneo? – è l’interrogativo inquietante posto da Prodi – Ne parlerà qualcuno nella prossima campagna elettorale? Qualche giorno fa un investitore di un importante fondo di Singapore mi domandava notizie su quello che succederà, ma tutto questo nel dibattito non entra, non esiste”.
Sul tavolo c’è, ovviamente, la questione della coalizione allargata di Pd, Pisapia, Grasso, Mdp e cespugli vari. “Non ci saranno coalizioni, ma al massimo apparentamenti“, spiega Arturo Parisi, storico braccio destro di Prodi. E un altro prodiano di rango, anonimo, spiega a Damilano: “Ci riproveranno a chiedere l’appoggio di Romano. Ma non c’è più tempo. E non c’è fiducia. Renzi non si fida troppo di noi e noi non ci fidiamo di lui”.
La sfiducia, ricostruisce Damilano, nasce un giorno preciso, il 14 novembre 2016, nella Sala della Maggioranza in via XX Settembre, durante la celebrazione a due mesi dalla morte di Carlo Azeglio Ciampi. Tra i relatori ci sono Prodi, Mario Draghi, Giorgio Napolitano, Giuliano Amato, il ministro Pier Carlo Padoan, il governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco, il presidente Sergio Mattarella. Il governo renzi era ancora in carica ma nessun pezzo grosso, a cominciare da Matteo, si era scomodato. E Prodi, quel giorno, a meno di un mese dal referendum-disastro del 4 dicembre, sembrò profetizzare con il suo intervento la fine di Renzi e del renzismo: “Per decidere bisogna conoscere, per discutere bisogna accettare di essere messi in discussione. «Chiesi a Ciampi di entrare nel governo con profondo imbarazzo, perché era già stato presidente del Consiglio, lui accettò di scendere uno scalino, cosa non facile“. Capito, Renzi?
Libero