Sullo sfondo la battaglia per la legge sul biotestamento ferma in parlamento. Presidio dei Radicali davanti al tribunale, campagna social #ConCappato. Tra i testimoni anche il medico-anestesista del caso Welby. Sentenza attesa per gennaio-febbraio
E’ cominciato a Milano davanti alla Corte d’Assise il processo a carico di Marco Cappato per aver aiutato Dj Fabo a raggiungere la Svizzera dove ha ottenuto il suicidio assistito. L’accusa è aggravata dall’aver “agevolato” la morte del 40enne, cieco e tetraplegico in seguito a un incidente stradale, rafforzando il suo “proposito di suicidio”. Per la procura avrebbe semplicemente aiutato una persona ad esercitare il diritto di morire con dignità, ma per Cappato è arrivata l’imputazione coatta imposta dal gip. Da qui la decisione di andare direttamente a processo con rito immediato saltando l’udienza preliminare.
L’Associazione Luca Coscioni di cui Cappato è tesoriere ha organizzato un presidio davanti al tribunale e lanciato una campagna social con hashtag “#ConCappato”, “una chiamata civile ai cittadini italiani che vogliono essere liberi”. “Marco oggi rischia 12 anni carcere per aver affermato da radicale con la sua disobbedienza civile – è il messaggio che accompagna la protesta – un diritto inalienabile che il parlamento italiano si ostina a negare a milioni di Italiani, cioè il diritto di decidere come vivere la propria vita fino alla fine. Per questo tutto il Paese deve essergli grato”. Non è stato l’unico presidio. Per supportare le battaglie laiche dell’associazione anche la Chiesa Pastafariana italiana ha dato vita un flash mob, mentre i cattolici sono scesi in strada con le foto di Eluana Englaro per una contro manifestazione pro-vita.
Partito con l’ammissione delle prove testimoniali e documentali, il processo potrebbe arrivare a sentenza già tra gennaio e febbraio, dopo le due udienze già fissate, per il 4 e il 13 dicembre, dedicate all’ascolto dei pochi testimoni, tra cui anche il medico-anestesista Mario Riccio che seguì il caso Welby, la madre e la fidanzata di Antoniani, che oggi non erano in aula. I giudici, presieduti da Ilio Mannucci Pacini, hanno ammesso tutte le prove richieste sia dalla procura che dalla difesa. In particolare, hanno disposto l’acquisizione su sollecitazione dei pm di una copia del codice penale svizzero, delle brochure della clinica Dignitas, della documentazione dei servizi forniti nella struttura di Zurigo e delle fotografie ritraenti la cliniche, materiale scaricabile da internet. Inoltre, entrano nel processo, sempre su richiesta dei pm, anche i certificati medici del dottor Veneroni sulle dimissioni di dj Fabo dall’unità spinale dell’ospedale, dove era ricoverato dopo l’incidente stradale, e la storia clinica del paziente con l’indicazione delle terapie che assumeva e la posologia relativa ai farmaci.
Di “particolare rilevanza probatoria” è stato definito dai pm il girato dell’intervista andata in onda alle ‘Iene’ e l’ascolto del giornalista Giulio Golia che la realizzò. Il video shock sarà proiettato in aula per dimostrare le condizioni fisiche in cui si trovava Fabiano Antoniani e la lunga agonia cui sarebbe andato incontro nel morire senza supporto medico-farmacologico, se fossero stati ‘semplicemente’ staccati i macchinari che lo tenevano in vita. I legali di Cappato, gli avvocati Massimo Rossi e Francesco Di Paola, si sono associati alle richieste dei pm, chiedendo e ottenendo inoltre che vengano ascoltati come testi l’anestesista Riccio, la madre e la fidanzata di dj Fabo. L’ascolto di questi ultimi è indicato anche nella lista della procura che comprende anche il medico curante di Antoniani.
Questo processo, come ha spiegato Cappato ai cronisti dopo la breve udienza, “sarà un’occasione pubblica per verificare per le persone che soffrono e per i malati terminali quali sono i diritti di scelta sull’interruzione delle sofferenze, ma anche per chi vuole vivere”.
Era stato lo stesso esponente Radicale a scegliere il processo immediato, per “processare una legge ingiusta” e anche per affrontare il nodo della norma sul fine vita ferma in parlamento. “Voglio che in Italia finalmente si possa discutere di come aiutare i malati a essere liberi di decidere fino alla fine – aveva detto – sia quando lottano per vivere, sia quando decidono di fermarsi. Il processo sarà un’occasione per discuterne ed è bene sia il prima possibile”. Solo due giorni fa, Cappato era tornato ad accusare la politica, così come aveva fatto Beppino Englaro, con lui a Milano a un incontro sul tema. “Non si capisce – le parole di Cappato – come in 32 anni non si sia riusciti ad approvare nemmeno il testamento biologico che è il minimo, perché è il recepimento di quanto la giurisprudenza ha già stabilito essere diritto”. “Manca la volontà politica – aveva sintetizzato Englaro – ci sono tutte le premesse, l’opinione pubblica è bene informata, ma è l’inerzia del legislatore che ci preoccupa”.
Il 13 luglio scorso, i pm milanesi Tiziana Siciliano e Sara Arduini avevano chiesto il suo rinvio a giudizio per Cappato in base all’articolo 580 del codice penale; un passaggio obbligato per la procura dopo che tre giorni prima il gip Luigi Gargiulo aveva disposto l’imputazione coatta per l’esponente radicale e bocciato la richiesta di archiviazione che avevano invece formulato i pm. Nel disporre l’imputazione coatta, il gip sottolineava che nel nostro ordinamento non esiste il “diritto a una morte dignitosa”, tesi invece avanzata dalla procura: Cappato non andava processato perché aveva aiutato il 40enne Fabiano Antoniani nell’esercizio del suo diritto a morire in modo dignitoso, senza le immani sofferenze seguite all’incidente.
Repubblica.it