Le aziende dell’economia digitale devono essere tassate come quelle dell’economia tradizionale. Chiuderle all’interno di un recinto ne limiterebbe la loro innovazione. Ma comunque sia nessuno tocchi i ricavi. Per queste ragioni è necessario rispettare le conclusioni del rapporto finale del Beps Azione 1 per il 2015, che le poneva sullo stesso piano. Questo è quanto emerge dalle posizioni presentate dai colossi del web, per lo più americani, all’Ocse in tema di tassazione internazionale, in una serie di proposte pubbliche nell’ambito del dibattito che si è aperto il primo novembre a Berkley, presso l’Università della California; fuori dal coro, invece, è BlaBlaCar, la quale ammette sia necessario un ammodernamento delle regole fiscali.
Silicon Valley Tax Directors Group. Svtdg rappresenta le più importanti aziende del settore tecnologico con sede nella Silicon Valley: Apple, Facebook, Amazon, Google, eBay, Netflix, Microsoft e decine di altri colossi californiani. La società, nella sua relazione, fa pressione per sottolineare l’importanza della conclusione nel rapporto finale del Beps Azione 1 per il 2015, dove viene affermato che l’economia digitale non è un insieme che sia possibile delimitare. Le nazioni dovrebbero avere lo scopo di tassare «dove il valore è creato», infatti, secondo il gruppo, il consumo di beni o servizi rappresenta un semplice scambio di valore. La creazione di valore avviene soltanto nel momento in cui il prodotto viene sviluppato. Questo principio è in linea con i presenti trattati fiscali internazionali. Applicare un’imposta sulla base dell’utilizzo di tecnologie digitali rappresenterebbe una violazione del principio di neutralità dei mezzi di distribuzione, stabilito durante l’Ottawa Framework del 1998 e riaffermato nel 2015. Inoltre, secondo le società, la tassazione nel paese di consumo, a lungo termine porterebbe ad aumentare le entrate fiscali dei paesi importatori e diminuire quelli esportatori, richiedendo, quindi, uno specifico accordo tra le giurisdizioni. Sarebbe opportuno attendere il 2020 per elaborare modifiche al sistema fiscale internazionale, termine stabilito all’interno dell’Azione Beps 2015.
Airbnb. La piattaforma di prenotazione di alloggi privati afferma: «L’enorme ammontare di reddito generato dagli ospitanti attraverso l’azienda rimane all’interno di comunità ed è soggetto alle imposte locali. Airbnb sostiene i principi affermati nel rapporto finale del Beps Azione 1 per il 2015 in cui si afferma l’inconsistenza di un settore che può essere definito digitale e soggetto a un regime fiscale peculiare. Necessario è far si che l’azione dell’Ocse sia guidata da regole chiare e trasparenti applicabili a tutti i settori dell’economia».
Sony. La società ritiene che il transfer pricing sia una delle più grandi sfide che le imprese devono affrontare. Molti paesi non hanno ancora saputo implementare lo sviluppo della distribuzione tecnologica. La digitalizzazione, infatti, ha consentito che più funzioni fossero centralizzate attuando forti economie di scala. Questo necessariamente non comporta che i profitti siano trasferiti, è quindi necessario tassare non i ricavi, ma bensì i profitti.
Spotify. L’azienda si allinea alle dichiarazioni precedenti, aggiungendo come lo sviluppo tecnologico presente non consente di differenziare le imprese digitali, in quanto ogni società di qualsiasi dimensione conferisce un ruolo importante alle tecnologie. La piattaforma musicale, inoltre, afferma come sia indispensabile, per intraprendere ulteriori misure, attendere una completa adesione ai Beps, che in poco tempo hanno consentito risultati straordinari. L’azienda aggiunge che: «Se gli stati decidessero all’unanimità di applicare misure a breve termine, è necessario che sia ben fissato il principio che a essere tassati sono i profitti, e non i ricavi, e che questi devono essere tassati una sola volta».
BlaBlaCar. La società leader nel car pooling ha un approccio diverso alla questione. L’azienda, infatti, crede sia necessario ammodernare il sistema fiscale internazionale, in quanto le regole create più di 60 anni fa non possono rispondere alle problematiche dell’economia digitale. Secondo l’azienda, infatti, il sistema in vigore causa incertezza alle aziende, e come per esempio, il concetto di «stabile organizzazione» richiede di essere aggiornato.
Matteo Rizzi, ItaliaOggi