L’autorevole Fiscal Monitor del Fondo Monetario internazionale sostiene che l’aumento della pressione fiscale sui redditi più alti non frena la crescita. “C’è spazio per aliquote più alte di quelle applicate ora”
Il Fondo Monetario internazionale si riscopre Robin Hood e lancia la sua ricetta “fiscale” per ridurre le disuguaglianze sociali: tassare i ricchi per aiutare i poveri. L’opposto rispetto alle riforme targate Donald Trump ed Emmanuele Macron.
L’outing dell’Fmi arriva nel tradizionale (e autorevolissimo) Fiscal Monitor di Washington. I toni, nello stile della casa, sono felpati e accademici. Ma la sostanza è chiara: le migliori prassi economiche consigliano di applicare ai contribuenti ad alto reddito aliquote decisamente superiori rispetto a quello attuali, che sono in costante calo”. Molti studi – ammettono gli uomini di Christine Lagarde – sostengono che un giro di vite fiscale sui ricchi può danneggiare la crescita. Tesi che il Fondo rigetta senza se e senza ma: “I risultati empirici non supportano alcuna ipotesi di questi tipo, almeno per aumenti di progressività della pressione tributaria non eccessivi”.
L’Fmi, come ovvio, non fa nomi di singoli paesi e non punta il dito contro nessuno. La diagnosi del Fiscal monitor è però senza appello: le economie più avanzate – è la sintesi – hanno vissuto negli ultimi tre decenni un deciso aumento delle disuguaglianze. E la colpa è del netto aumento della ricchezza in mano all’1% più ricco della popolazione. Una montagna d’oro che in qualche modo gode di un trattamento erariale privilegiato e non solo per l’accessibilità dei Paperoni alle più svariate (e non sempre legali) forme di ottimizzazione fiscale: l’aliquota massima media dei Paesi più industrializzati dell’Ocse – calcola un blog di Vito Gaspar, responsabile degli studi tributari dell’Fmi – è crollata dal 62% del 1981 al 35% del 2015.
Lo studio del Fondo, come ovvio, ha rapidamente trovato una sua lettura politica.