Gabriella D’Arcano, torinese, è presidente della Frau di Verona fiera della sua produzione rigorosamente made in Italy. L’azienda fondata dal padre Renzo compie 65 anni: è nata come azienda di pantofole che negli anni difficili del Dopoguerra venivano usate come scarpe. Lei guida il passaggio alla terza generazione con il figlio Filippo
È entrata in punta di piedi, per non turbare gli equilibri. Aveva due figli già grandi, una laurea in Economia e diversi lavori alle spalle. Alla Frau Verona, di cui oggi è presidente, Gabriella D’Arcano, 59 anni, nata a Torino, ha raccolto l’eredità di suo padre Renzo, scomparso nel 2014, “perché tutto quello che ha creato non andasse disperso”, affiancata da Francesca Ferro, la seconda moglie del fondatore, che per decenni ha lavorato con lui.
“Mi sono iscritta a Economia – racconta l’imprenditrice -, anche se le mie passioni erano altre: chimica e filosofia, ma sarebbero state scelte meno pratiche e meno concrete. In ogni caso, ho preferito fare un mio percorso: ho lavorato in banca, in alcune aziende, come commercialista, situazioni che mi hanno permesso di dedicare più tempo alla mia vita privata. Mi sono sposata nel 1986, mio marito lavora nell’edilizia, e ho avuto due figli: Filippo nel 1990 e Chiara quattro anni dopo”.
La fabbrica delle scarpe ‘comode’, in principio erano le pantofole di feltro tipiche del Friuli, oggi ha 65 anni e nei due stabilimenti di San Giovanni Ilarione e Montecchia di Crosara, in provincia di Verona, lavorano 213 addetti e si confezionano 800 mila paia di scarpe all’anno. “Le maestranze – precisa Gabriella D’Arcano – sono la nostra comunità di persone, a cui si aggiungono almeno altre cinquanta dell’indotto”.
Frau ha resistito all’impatto duro della crisi con un fatturato per il 2016 di 33 milioni e 800 mila euro, un passo indietro rispetto ai 35 milioni del 2015. “Mio padre – ricorda D’Arcano – era una persona eccezionale, di grandi valori e principi, coerente con se stesso, aveva il dono di essere forte fisicamente, pieno di curiosità, sembrava che per lui il tempo non passasse mai. Guardava sempre fuori per vedere quello che succedeva. Con tanta voglia di mettersi in discussione e, anche avanti negli anni, con progetti per questa azienda che ha creato e plasmato. Era il cuore e l’anima della Frau”.
Nel 2011 si è ammalato e la figlia ha deciso di mettersi in gioco, “c’era un grande lascito, soprattutto morale, da salvaguardare; avevo 53 anni, i figli avviati, e sono entrata in azienda. Ci ho messo tutto quello che ho raccolto dalle mie esperienze e che ormai faceva parte di me. Prima ho voluto capire, guardare, conoscere, senza stravolgere niente e nessuno. Così è stato tutto più facile, ho iniziato a occuparmi di sicurezza e poi di personale e di marketing, un passo per volta. È anche possibile avere punti di vista diversi, ma ascoltarsi reciprocamente si può. Vedere le cose da dentro è stata una sorpresa. In fabbrica ho scoperto un mondo di professionalità e di abilità che non conoscevo”. Tanta manualità e tanta tecnologia. La Frau è già una industria 4.0, modernizzata con robot tutti italiani in ogni manovia, inseriti anni fa dal fondatore. “Abbiamo sviluppato certi passaggi della produzione, ma le cuciture si fanno sempre a mano, e ci vogliono anni per addestrare una persona”. Il 50 per cento del totale di operai e impiegati dei due stabilimenti è di sesso femminile, con un’anzianità di servizio media di 18 anni, e il 45 per cento delle lavoratrici ha il part-time con la possibilità di scambiare i turni in base alle necessità familiari.
Made in Italy per Frau significa che tutti i fornitori sono italiani, le pelli conciate vengono dal distretto veneto e dalla Toscana, il processo di produzione è tutto interno, dall’idea al prototipo fino alla scarpa finita. “Non è soltanto un ciclo produttivo, è un patrimonio aziendale di cui siamo gelosi, e i materiali italiani, con la loro naturalità, ci fanno sentire più forti”.
Renzo D’Arcano nel 1952 era un giovane studente di Giurisprudenza, e suo padre Rodolfo aveva un ingrosso di pantofole di feltro e calzature, la famiglia originaria di San Daniele, in Friuli, era emigrata a Torino quando lui aveva undici anni. Era il dopoguerra, anni poveri ma effervescenti, voglia di fare e ricostruire. Mancava tutto e di quelle pantofole c’era tanta richiesta. Il padre propose al figlio di impegnarsi nella produzione e lui mise su un piccolo laboratorio. “O studio o lavoro”, e scelse il lavoro. Così iniziò la sua avventura.
Le pantofole che costavano poco in quegli anni venivano usate anche come scarpe. C’era una domanda fortissima, vennero vulcanizzate. Passione e impegno resero il laboratorio sempre più grande, ma soffriva per carenza di manodopera. Torino e il suo hinterland gravitavano sulla grande Fiat e tutti quelli che imparavano il mestiere prima o poi lasciavano per entrare nella fabbrica di automobili. Renzo D’Arcano era frustrato perché non riusciva ad avere continuità. Guardò oltre, al territorio veronese, zona povera a vocazione agricola, di forte emigrazione all’estero per cercare lavoro. Chi avesse voluto creare delle attività in quella valle era considerato il benvenuto e il Comune di San Giovanni Ilarione gli spianò la strada. Un’area che nel tempo è diventata distretto calzaturiero ed è a ridosso delle concerie della Valle del Chiampo.
Con spirito pionieristico e deciso ad affrontare la sfida, nel 1966 costruì lo stabilimento. Dopo le pantofole cominciò a fare scarpe, disegnava e progettava. Comoda, di uso quotidiano, la scarpa Frau è sempre stata casual al 100 per cento, nel suo catalogo non esistono modelli eleganti. Gli affari andavano bene e nel 1977 Renzo D’Arcano mise mano allo stabilimento di Crosara. In quel momento andava moltissimo il polacchino con il fondo crepe, la suola di para. La nuova fabbrica nacque unicamente per soddisfare questo modello, solo maschile, l’iconica ‘desert boot’, in pelle italiana di quattro colori, sfoderata per l’estate, foderata per l’inverno. Verso gli anni Ottanta Frau apre alla scarpa per donna che si rivelerà una scelta strategica nel contesto delle tre linee attuali Frau Verona, FrauFx (sneakers outdoor) e Frau Junior. Frau Verona, a proposito, non ha niente a che vedere con l’omonimo marchio dei salotti: “È un cognome sardo – spiega la sua presidente -. Le due aziende sono sempre coesistite, ma in mondi diversi, hanno un accordo e ognuno fa il suo lavoro senza darsi alcun fastidio”.
A fine decennio il passaggio faticoso, che però cambia tutto: dalla distribuzione wholesale, direttamente al retail. Nella geografia Frau Verona ci sono ora 12 negozi monomarca in Italia, di cui tre in Sicilia, e 1200 punti vendita multimarca. Dal 2014 è partito l’e-commerce con lo store on line. Per adesso appena il 10 per cento di Frau va all’estero, con presidi in Spagna, Grecia, Turchia, Svizzera, ha organizzato la distribuzione in Australia ed è arrivata in Mongolia, grazie a un imprenditore italiano del settore delle pelli, che ha laggiù dei punti vendita e si è innamorato di questo marchio.
“Siamo in trincea da tanti anni – riflette l’imprenditrice -, la crisi economica è anche segno di un profondo cambio di abitudini, i consumi non torneranno più quelli di prima, le persone spendono in maniera diversa. Strategicamente stiamo cercando di crescere nei mercati esteri per avere più fronti, con il nostro prodotto classico ma rinnovato. Abbiamo seminato in Austria e guardiamo all’Est Europa, pensiamo di essere in sintonia con i tanti mercati che cercano il made in Italy di qualità, però con un prezzo accessibile e l’inconfondibile stile italiano per le nuove classi medie. Sarà un buono sbocco”.
Il compito che si è assegnata Gabriella D’Arcano è quello di guidare la sua società alla successione. “Vorrei essere un anello di passaggio verso il futuro” spiega, “l’azienda deve per forza cambiare e in maniera veloce, deve managerializzarsi. Vorrei delegare, fare in modo che Frau impari a camminare sulle proprie gambe e possa continuare. Adesso siamo in due, io e Francesca, ciascuna con percorsi e storie diversi, ma unite da una grande condivisione di valori. Decidiamo le strategie e con noi ci sono i collaboratori. Ma non è più pensabile un’impresa che si regge su una sola figura, occorrono specialisti con varie competenze”.
Il domani è affidato alla terza generazione: Chiara, 23 anni, studia Psicologia, è molto interessata alla persona, e Filippo, 27 anni, che sulla strada del lavoro è più avanti: ha fatto la triennale di Economia all’università Cattolica e la specialistica a Milano in marketing e retail. “Ha voluto un’esperienza sua, si è cercato un lavoro nel settore della moda in provincia di Verona, capendo tante cose, imparando dinamiche che a scuola non ti insegnano”. Nel luglio dell’anno scorso è entrato in azienda cominciando dai compiti più semplici, seguito da Francesca Ferro “che su certi fronti è più competente di me e conosce tutti quelli che lavorano in azienda. Ora Filippo si occupa di marketing e ha preso confidenza con l’ambito commerciale. Aveva una grande sintonia col nonno, comunicavano molto, e la fabbrica l’ha sempre sentita casa sua”.
Gabriella D’Arcano ha tempo per fare altro? “Non si può guidare un’azienda con un impegno part time, si lavora tutti i giorni dal mattino alla sera; non ho mai visto mio padre farlo diversamente, ci vogliono scrupolo e passione, non avrei potuto con i bambini piccoli. Sogno le vacanze, adoro il mare, Sicilia, Puglia, mio marito ama la montagna, si media con delle puntate nelle città d’arte. Ma ci sono tante sfide e tu devi essere presente, l’esempio è importante. Abbiamo molti competitors, alcuni decisamente più grandi, e ognuno fa la sua partita. Dobbiamo cercare di capire quello che succede nel sistema e restare fedeli alla nostra storia. Per noi la persona è sempre stato un valore molto forte, diamo un servizio di qualità e i clienti ce lo riconoscono. Via libera ai cambiamenti, rimanendo se stessi: questo è il futuro”.
Patrizia Capua, Repubblica.it