È comune la percezione che l’assoggettamento delle donne agli uomini sia stato – fino ai tempi del femminismo moderno – una costante storica, presumibilmente imposta dalla superiore prestanza fisica dei secondi e finalmente sovvertita solo di recente. La semplificazione è eccessiva. Lo dimostra la recente determinazione che i resti di un comandante vichingo dell’anno Mille – tumulato con la propria spada, un’ascia da guerra, la lancia, una faretra di frecce, lo scudo, un coltello da combattimento e due cavalli – scoperti in Svezia alla fine dell’Ottocento, non siano affatto di un maschio, come si dava per scontato da oltre un secolo, ma piuttosto di una femmina. Gli archeologi si lasciarono ingannare dalle armi, dalla sepoltura da guerriero, ma anche dai loro preconcetti “moderni” sul ruolo delle donne nella società vichinga. La storia ne riserva di queste sorprese, ma forse l’esempio più spettacolare è la tradizione nell’Europa medioevale dei combattimenti giudiziari tra marito e moglie. L’usanza era governata da un preciso codice da duello, inteso a limitare il vantaggio fisico del marito: “La donna deve essere preparata in modo tale che dalla manica della sua chemise s’estenda oltre alla mano una piega di stoffa a forma di tasca. Vi si mette invero una pietra dal peso di tre libbre (circa 1,4 kg). Lei non ha altro della chemise, che è legata tra le gambe con un laccio. Allora l’uomo si prepara nel suo buco contro la moglie e vi è interrato fino alla cinta, con una mano legata per il gomito [sic] al suo fianco”. Il brano è riportato da uno studio di Allison Coudert, della University of California, “Judicial Duels Between Husbands and Wives”, apparso su Notes in the History of Art 4:4 [Summer 1985], 27-30. Sono citati casi in cui l’uomo, piuttosto che parzialmente interrato, dovette combattere seduto in una tinozza; in altri casi ancora i duellanti erano armati di spada. Coudert scrive: “I duelli giudiziari erano sufficientemente comuni nel periodo medioevale e all’inizio dell’epoca moderna da meritare l’attenzione dei libri d’etichetta, ma, che io sappia, solo all’interno del Sacro Romano Impero erano considerati appropriati per dirimere le dispute tra marito e moglie. Non ce n’è più traccia negli archivi oltre l’anno 1200, quando si riferisce di marito e moglie che duellarono con l’avallo delle autorità civili di Basilea”. È sorprendentemente difficile trovare dati chiari sulla violenza attuale tra uomini e donne – pure molto studiata – soprattutto per via delle grandi differenze nelle definizioni utilizzate per descrivere il fenomeno. La preponderanza dei dati Usa suggerisce comunque che in quel paese (almeno quando la violenza è “solo” fisica) siano in forte maggioranza le donne a tirare il primo colpo – uno schiaffo, uno spintone – e gli uomini a tirare “l’ultimo”, un pugno, un calcio. In tutti i casi, indipendentemente da “chi comincia” e anche di fronte a dati difficilmente confrontabili, sono più le donne a restare materialmente ferite. Malgrado le incertezze statistiche, l’Onu ritiene però di avere le idee chiare riguardo alle mogli che picchiano i mariti e propone addirittura una classifica dei paesi dove il fenomeno è più prevalente. Secondo il pakistano Express Tribune, che riferisce la notizia, il record – non intuitivo – spetterebbe alle manesche egiziane, seguite poi dalle inglesi e, al terzo posto, dalle donne indiane.
Nota diplomatica, gerente James Hansen