Quando si pensa alle possibili conseguenze economiche delle elezioni tedesche si hanno spesso in mente i diversi atteggiamenti che la Germania potrà assumere nei confronti dell’Unione europea e dell’area dell’euro, ci si prefigura come l’uno o l’altro degli esiti elettorali influirà, ad esempio, sulla disponibilità tedesca a forme di nuova solidarietà e integrazione politico-finanziaria. Ma le elezioni tedesche sono importanti anche per la loro influenza diretta sull’economia tedesca e sulla formulazione delle politiche economiche nazionali. Indirettamente questa influenza avrà poi un effetto di rilievo per tutta Europa.
L’economia tedesca è ricca e florida; in sintesi si può forse dire che va bene, anche se non benissimo. Quest’anno è prevista crescere leggermente meno del 2% e della media dell’eurozona, con un lieve rallentamento l’anno prossimo. Il suo squilibrio più noto è quello dell’avanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti che negli ultimi anni è andato crescendo fino a raggiungere, l’anno scorso, il livello dell’8.5% del Pil, un’anomalia a livello mondiale. Ciò è da tempo fortemente criticato, soprattutto in Europa, ma anche dal FMI. Le critiche insistono sull’idea che l’avanzo mostra che la Germania non “spende” abbastanza e con ciò frena la crescita dei suoi partner e tende a indurre uno squilibrio opposto, un deficit, nei loro conti con l’estero. Poiché però anche l’eurozona nel suo complesso ha un significativo (anche se minore) avanzo del commercio estero, con solo quattro dei suoi Paesi membri in disavanzo (tutti piccoli salvo la Francia), la contropartita degli avanzi tedeschi è soprattutto altrove, in particolare nel deficit statunitense. La ricetta europea per la Germania è comunque una maggior spesa in investimenti, pubblici e privati. Rimane inoltre critico il contributo negativo alla domanda aggregata dato da un bilancio pubblico in avanzo di quasi l’1%.
La Commissione e il Consiglio europeo vanno oltre questi saldi macroeconomici e offrono un’accurata diagnosi strutturale dell’economia tedesca che, come per gli altri Paesi membri, si traduce ogni anno in “raccomandazioni specifiche” che si aspettano il paese segua con le sue prossime politiche economiche. Le ultime raccomandazioni sono la conclusione di un documento di fine maggio. Oltre a sottolineare il bisogno spesa pubblica in investimenti, soprattutto a livello municipale, vi si ricorda come le spese in ricerca tedesche siano inferiori alla media europea e debbano accrescersi, assieme a quelle per l’educazione, l’innovazione, la digitalizzazione. Quest’ultima deve accrescersi, soprattutto fuori dai maggiori centri urbani e nella pubblica amministrazione dove è inferiore alla media europea. Un’analisi dei principali difetti del sistema di tassazione, soprattutto delle imprese, mostra il bisogno di riforme che aiuterebbero una maggior articolazione e modernizzazione del mercato dei capitali e favorirebbero gli investimenti privati. Va riformato e liberalizzato il settore dei servizi aumentando, in particolare, l’inadeguato dinamismo e la concorrenza nei servizi professionali. Specifici provvedimenti fiscali, nel mercato del lavoro e nelle pensioni, dovrebbero stimolare la crescita insufficiente dei salari reali.
È poi in corso un riesame approfondito del sistema bancario tedesco, con la regia sempre più attenta della vigilanza della Bce. Finora una certa mancanza di trasparenza ha impedito di diagnosticare adeguatamente le sue debolezze: banche troppo numerose, spesso troppo piccole, troppo legate a poteri politici e distretti economici locali, con bilanci messi a rischio da attività strutturate complesse e speculative. La lunga fase di tassi di interesse internazionali bassissimi o negativi ha nuociuto alla loro redditività (come a quella delle imprese assicurative) e le ha spinte ulteriormente verso rischi poco controllati. Se le banche hanno problemi, il settore finanziario non bancario è gravemente sottosviluppato e il programma europeo di modernizzazione e riduzione del banco-centrismo, la cosiddetta Unione dei Mercati dei Capitali, trova i tedeschi su posizioni piuttosto esitanti nel promuoverne la riforma.
Il buon andamento dell’economia tedesca non è dunque pienamente sostenibile, soprattutto in un mondo in continuo cambiamento e difficoltà, se il ritmo delle riforme strutturali non accelera e non si approfondisce. Da questo punto di vista la Germania, nonostante abbia un’economia spesso considerata invidiabile, ha un compito non meno impegnativo dei suoi partner europei. Avrebbe dunque bisogno di un governo molto riformista e, insieme, disposto alla collaborazione intereuropea. Quest’ultima dovrebbe essere vista anche dai tedeschi come uno stimolo a migliorare le proprie politiche, non solo come il dovere di raccomandare il miglioramento di quelle altrui.
L’esito delle prossime elezioni potrebbe non essere tale da suscitare svolte importanti nelle politiche economiche tedesche. La conferma di Merkel sarà nel segno della continuità. Il problema sarà la coalizione che la cancelliera riuscirà a formare per governare. Gli scenari possibili sono molteplici e incerti. L’impressione è che il programma della coalizione che prevarrà sarà piuttosto conservatore circa le politiche economiche nazionali. Qualche novità può attendersi piuttosto, quasi paradossalmente, nelle posizioni tedesche nei confronti dell’economia europea. Ciò soprattutto se la coalizione comprenderà i socialdemocratici.
Non è comunque da escludere che, col tempo, i governanti tedeschi siano portati, proprio dalla fatica e dall’inerzia interna a riformare la loro economia per mantenerne la competitività, a dar più importanza all’aiuto reciproco comunitario, alla messa in comune di maggiori risorse per la produzione di beni pubblici europei, all’integrazione delle decisioni di politica economica. Persino i tedeschi potrebbero giungere a sentire il bisogno di una certa dose di “disciplina esterna”.
Franco Bruni, vice-presidente ISPI e professore di Teoria e Politica monetaria internazionale all’Università Bocconi, ipsionline.it