Dalle stelle alle stalle fino ad arrivare alle perle. Con un po’ di licenza poetica, potrebbe essere descritta così la parabola imprenditoriale e finanziaria di Silvio Scaglia, negli ultimi tempi finito al centro delle cronache perché indiscrezioni davano in vendita la società bolognese di intimo di fascia alta La Perla, da lui comprata all’asta nel 2013, attraverso il veicolo lussemburghese Sms Finance, al prezzo di 69 milioni di euro. Appena due anni prima, nel 2011, aveva invece comprato l’agenzia di modelle Elite model world, che secondo i dati forniti dalla stessa società nel 2016 ha realizzato 160 milioni di fatturato. Ebbene, in una intervista del 25 agosto al Corriere della Sera, non soltanto Scaglia ha bollato le voci come false ma ha anche aggiunto di avere investito 350 milioni “nel rilancio di La Perla, più i 69 versati al Tribunale di Bologna per rimborsare i creditori, tutte risorse personali. Mancano circa 100 milioni per completare il piano”.
Il pareggio, in particolare, dovrebbe arrivare tra un paio di anni, in area 220 milioni di ricavi. E considerati questi numeri ma anche considerando che secondo indiscrezioni la Calzedonia di Sandro Veronesi sarebbe stata pronta a mettere sul piatto un centinaio di milioni per la società bolognese di lingerie, si capisce perché, offerta o non offerta (Scaglia sostiene di non averne mai ricevute), l’imprenditore nato a Lucerna, in Svizzera, nel 1958 non voglia nemmeno lontanamente considerare l’ipotesi di una vendita.
Ma se Scaglia non è intenzionato a uscire da La Perla qual è il motivo delle voci che lo vorrebbero in procinto di vendere? “Sono in fase di divorzio da mia moglie e mi mettono pressioni per monetizzare”, ha affermato lo stesso imprenditore nell’intervista, prima di dirsi “convinto che vendere sarebbe sbagliato. La Perla è un’azienda con potenzialità immense che voglio realizzare sviluppando la capacità di creare capi unici, capaci di far sentire una donna sicura di sé, sia nella lingerie sia nel ready to wear“.
In effetti i prezzi dei prodotti La Perla sono decisamente elevati: se si va sul sito web, si può notare che in media un reggiseno della nuova collezione costa sui 300 euro abbondanti (ci sono alcuni modelli da oltre 500 euro a pezzo). Sulla base di questi prezzi, il mercato italiano non sembra potere essere quello principale per La Perla. Ecco perché Scaglia spiega di puntare sull’Asia, che pesa per il 25% sui ricavi complessivi (che nel 2015 si sono attestati a 140 milioni), e dove non a caso ha aperto 30 negozi.
“Questo mercato – ha aggiunto Scaglia – non esisteva quando quattro anni fa ho comprato l’azienda. Ora dà il traino alle vendite. La Perla è l’unica al mondo che può vendere intimo a mille euro, in funzione della preziosità delle lavorazioni, frutto dell’impegno di 400 persone nello sviluppo del prodotto a Bologna”. Sì, perché Scaglia quando ha comprato la società di lingerie nel 2013, dopo la chiusura del concordato, ha riassunto tutte le modelliste e le cucitrici. Oggi il gruppo conta 1.650 dipendenti, dei quali circa 650 in Italia. Nel 2013, all’epoca dell’asta, il patron di Calzedonia (ma anche di Tezenis e Intimissimi) Veronesi aveva avanzato qualche dubbio sulla forza lavoro: “Dalla padella degli americani alla brace di Scaglia. Povera Perla – aveva aggiunto caustico – mi dispiace per i dipendenti, che devo dire si sono fatti vivi in tanti per chiedere di sostenerli”.
“Vendere sarebbe un grande errore, un po’ come lo sarebbe stato cedere Fastweb nel 2001, all’indomani della fine della bolla delle dot-com”, ha ribadito Scaglia nella stessa intervista, con riferimento alla sua precedente avventura imprenditoriale nelle telecomunicazioni, che lo aveva proiettato nell’Empireo della finanza. Corre l’anno 1999 quando il tandem composto dai fondatori Scaglia e Francesco Micheli conduce in Borsa la società eBiscom, che si pone l’ambizioso obiettivo di portare la banda larga, e quindi la connessione internet ad alta velocità, nelle principali città italiane. La società di nuove tecnologie sbarca nel 2000 sul Nuovo mercato di Piazza Affari, una specie di ex Nasdaq di casa nostra, per una capitalizzazione di 1,3 miliardi. I due fondatori avevano investito appena una ventina di milioni nella società, sicché la quotazione in Borsa si rivela la classica gallina dalle uova d’oro. Micheli approfitta per vendere gran parte delle azioni, mentre Scaglia monetizza solo un po’ e resta azionista di riferimento. Ma c’è un problema: eBiscom si sgonfierà e “scoppierà” insieme con la bolla tecnologica dell’inizio del nuovo millennio; il prezzo delle azioni crollerà dai 160 euro dello sbarco a Piazza Affari fino in area 20 euro. Si riferisce proprio a questo l’imprenditore quando parla di “bolla delle dot-com”, cioè delle società di nuove tecnologie a cavallo tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Zero.
E’ il 2004 quando eBiscom si fonde con Fastweb, società che si dedica alla posa dei cavi in fibra ottica per consentire l’alta connessione. Il primo azionista è sempre lui: Scaglia, che ha resistito dopo lo scoppio della bolla tecnologica. In effetti, l’attesa non è vana: nel 2007 saltano fuori gli svizzeri di Swisscom, che per l’appunto vogliono comprarsi tutta Fastweb, perciò lanciano un’offerta pubblica di acquisto (Opa) totalitaria del valore complessivo di 3,7 miliardi. Scaglia aderisce all’operazione con la sua partecipazione di quasi il 19 per cento. Si separa così dalla sua creatura, ma si può consolare con i circa 900 milioni che incassa al lordo delle tasse.
Ma proprio da Fastweb, nel giro di pochi anni, arriveranno i dolori. Nel febbraio del 2010 parte, infatti, l’operazione Broker: 56 misure di custodia cautelare e arresti domiciliari per presunti riciclaggio e frode fiscale internazionale in cui risultano coinvolti i vertici di Telekom Sparkle e Fastweb. Tra questi, Scaglia, che – come si legge nella cronistoria del suo stesso sito internet – affitta “un aereo privato per rientrare dalle Antille il più velocemente possibile in Italia e consegnarsi spontaneamente ai magistrati. Eseguito anche il sequestro preventivo dei beni”, aggiunge il sito web. L’imprenditore, nel mese di febbraio del 2010, viene rinchiuso nel carcere di Rebibbia. A maggio, il giudice per le indagini preliminari gli concede gli arresti domiciliari, sicché Scaglia, per scontarli, viene trasferito in Valle d’Aosta, nella casa di proprietà della famiglia.
Trascorre così un anno di carcerazione preventiva, tra prigione vera e propria e arresti domiciliari, fino a quando nell’ottobre del 2013 Scaglia viene assolto per non avere commesso il fatto. Soprattutto alla luce di ciò, la misura restrittiva della libertà di cui è stato vittima prima della sentenza fa parecchio rumore. “Sono contento di aver combattuto questa battaglia durissima. Era ben riposta la fiducia che avevo nella giustizia”, ha dichiarato subito dopo. In confronto, il pressing per la vendita della Perla sembra nulla. E anche la separazione dalla moglie Monica assume quasi i contorni di una passeggiata di salute.
Carlotta Scozzari, Business Insider Italia