Da William Gibson a Star Trek. Non solo alieni e navicelle spaziali, la science fiction non è utile perché predice il futuro ma perché riformula il nostro punto di vista sul mondo. Solo così si possono anticipare i tempi e creare innovazione
Evadere dal mondo di oggi, proiettarsi in un futuro lontano in cui l’uomo si troverà ad attraversare lo spazio in lungo e in largo alla ricerca di nuovi pianeti e incontrerà popolazioni aliene sconosciute. Un tempo in cui la tecnologia, forse, minaccerà l’uomo oppure sarà perfezionata a tal punto che renderà le nostre esistenze più facili grazie a robot e altre innovazioni. In una parola, fantascienza, il genere letterario e cinematografico di evasione per eccellenza. Ma è realmente così? La science fiction ci aiuta soltanto a immaginare un futuro ancora da raggiungere per distogliere lo sguardo dal presente? No: lo dice lo scrittore e stratega Eliot Peper. Secondo un suo saggio pubblicato sull’Harvard Business Review, chi vuole intraprendere la carriera di business leader, o chi lo è già e vuole migliorarsi, dovrebbe leggere libri e racconti di fantascienza: “Presentando plausibili realtà alternative, le storie di fantascienza ci spingono a confrontarci non solo con quello che pensiamo – scrive Peper –, ma anche con il modo in cui pensiamo e con il motivo per cui pensiamo”. Evasione, certo, ma sempre con i piedi per terra, per non perdere di vista il presente ma, anzi, per metterlo in discussione e cominciare a costruire il futuro. Evitare di rimanere troppo ancorati al presente, questo è il segreto per essere dei business leader che non solo stanno al passo coi tempi, ma che soprattutto li anticipano e creano innovazione.
Guardare indietro, ma non troppo. Negli ultimi anni dell’Ottocento, le strade di New York erano solcate ogni giorno da migliaia di carri e carrozze trainati da cavalli, che erano in numero di gran lunga superiore a quello delle automobili in circolazione. L’auto avrebbe soppiantato il cavallo nel giro di pochi anni? No, secondo gli urbanisti americani dell’epoca, allarmati dall’enorme quantità di sterco che si accumulava lungo le strade della metropoli, tanto da essere diventato un problema cui trovare una soluzione urgente. Al contrario, nel 1913 le macchine avevano già superato, come quantità, i cavalli per le strade di New York e la questione che per anni aveva impensierito gli urbanisti statunitensi venne accantonata. “Estrapolare le tendenze dal passato è utile – sostiene Peper –, ma è limitante in un mondo in cui il cambiamento tecnologico è in accelerazione”. Big data, tecnologie per l’apprendimento automatico, moderne teorie di management: se gli urbanisti americani della fine del diciannovesimo secolo vi avessero avuto accesso, secondo l’autore dello studio, tutto ciò avrebbe solo confermato la loro visione del mondo, senza dare spazio all’innovazione e ad un mondo ancora di là da venire.
La fantascienza riguarda il futuro? Sbagliato. Come si può fare allora per immaginare un futuro incerto e sempre in evoluzione? Con la fantascienza, che “non è utile perché predice il futuro”, ma “perché riformula il nostro punto di vista sul mondo”. Peper ne è sicuro: dare per scontato che il passato e il presente si ripetano sempre uguali anche domani è un lusso che i business leader non possono permettersi. Quindi non solo viaggiare in lungo e in largo per lo spazio profondo a bordo di astronavi tra pianeti inesplorati e creature sconosciute: la science fiction può aiutare a immaginare il mondo non come è, ma come potrebbe essere. Numerosi sono gli esempi che Peper porta a sostegno: ben prima che il termine diventasse di uso comune, la parola “cyberspazio” era stata coniata nel 1984 da William Gibson per il suo romanzo Neuromante, mentre Jeff Bezos si è dichiaratamente ispirato a L’era del diamante di Neal Stephenson, pubblicato nel 1995, per la creazione del Kindle. Perfino una serie televisiva come Star Trek anticipò l’invenzione del telefono cellulare. “Perché anche se crediamo che la fantascienza riguardi il futuro, in realtà parla del presente – continua Peper –. 1984 di George Orwell era veramente sul 1948, l’anno in cui Orwell finì di scriverlo”. Perché continuiamo a sentirlo attuale, allora? Secondo lo scrittore e stratega, perché guarda dentro la natura umana e sul rapporto tra tecnologia, potere e società, un rapporto in costante evoluzione ancora oggi.
Meglio immaginare che dare per scontato. Oggi le grandi compagnie fanno tesoro delle suggestioni della science fiction? Sì: già Google, Apple e Microsoft si servono della consulenza di scrittori di fantascienza. Perché allora si continua a immaginare il futuro come il presente o addirittura come il passato? “I presupposti sono utili, ci forniscono delle scorciatoie cognitive per dare un senso al mondo, ci rendono più efficienti e produttivi – afferma Peper –: il problema è che non riescono ad aggiornarsi quando il mondo cambia e ci sbarrano la strada quando potremmo cambiare il mondo”. Perciò, consiglia l’autore, leggere saggi di economia e analisi di alta finanza non fa diventare dei business leader. Meglio un libro di fantascienza.