Le previsioni sul Pil: pessimista il Parlamento, pensa positivo invece Bankitalia. Un intreccio di dati usati poi in campagna elettorale. Deflazione vero pericolo
Un giorno di miracolo, un altro di tragedia, una pausa di stagnazione, un pizzico di euforia… I numeri dell’economia sono sempre molto ballerini quando vengono maneggiati dalla politica. Figuriamoci cosa succede quando ballano già prima, nel campo stesso della scienza economica. È quanto sta succedendo in questi giorni, nell’interpretazione dello stato in cui è l’economia italiana.
L’Ufficio parlamentare di bilancio – un organismo indipendente, di recente istituzione, introdotto in seguito alla stessa modifica normativa che ha inserito il fiscal compact nella Costituzione – ha sfornato la sua nota congiunturale. Nella quale, prendendo atto del risultato ufficiale per il primo trimestre certificato dall’Istat, fa una stima del trimestre che sta per finire e una previsione sull’anno: nel 2017 il prodotto interno lordo reale crescerà dell’1,2-1,3%, dicono i tecnici dell’Ufficio. La crescita, aggiungono, si è «leggermente irrobustita» rispetto a quando ipotizzato; tant’è che lo stesso Def del governo prevedeva solo un più 1,1%.
Insomma, va un po’meglio del previsto. Però la scorsa settimana un’altra istituzione indipendente, ossia la Banca d’Italia, si era sbilanciata molto di più: «La crescita è stata ampiamente rivista al rialzo» nel Bollettino di via Nazionale, con una previsione per il 2017 di più 1,4%. Con il che l’Istituto guidato dal governatore Ignazio Visco (in scadenza a ottobre) si colloca in testa alla classifica degli ottimisti, dato che anche il Fmi e la Confindustria – che pure hanno rivisto al rialzo le loro previsioni per l’Italia – si “fermano” a un più 1,3% per il 2017.
Chi ha ragione? Chi ha torto? Impossibile dirlo, e forse neanche tanto importante. Stiamo parlando di uno o due decimali di punto: misure interessanti, ma non certo in grado di cambiare la vita di un Paese. Guardando alla sostanza, il fatto che siamo passati da un periodo in cui ci si dibatteva nel più o meno zero virgola qualcosa, a uno scalino superiore nel quale siamo sopra il punto di Prodotto interno lordo, è in sé una buona notizia. Ma va insieme alla consapevolezza diffusa tra gli osservatori e anche nella percezione comune che questa (poca) crescita è territorialmente non omogenea, e soprattutto porta scarsa occupazione, se è vero che, come dice la stessa nota dell’Ufficio parlamentare di bilancio, tra disoccupati, inattivi e sottoccupati abbiamo uno “spreco” di un quarto della forza lavoro.
Tornando alla questione della crescita del Pil, però, quel che è davvero grave è l’uso politico-propagandistico che si fa di questi numeri, tirandoli per la giacchetta a sostegno della propria parte (qualche mese fa la Confindustria diffuse le previsioni su un forte calo del Pil in caso di vittoria dei No al referendum). Mentre bisognerebbe leggerli con attenzione, capire che possono esserci anche differenze di stime e valutazioni, e guardare l’Italia nel contesto internazionale: siamo interessati da una congiuntura tiepidamente favorevole, alcune imprese esportatrici, più dinamiche di altre, ne hanno saputo approfittare, ma l’effetto traino sul resto dell’economia è molto limitato.
Ma soprattutto, bisognerebbe guardarsi dalla tentazione dello scetticismo, dell’alzare le spalle, pensando che se i numeri dicono tutto e il contrario di tutto non si può credere a nessuno: perché così facendo si finisce per rinunciare a capire e discutere sia i fatti economici che quelli politici.
In proposito, leggendo più a fondo la nota dell’Ufficio parlamentare di bilancio troviamo un’osservazione interessante, più utile della diatriba tra 1,2 e 1,4%: attenzione, dicono i tecnici Upb, perché se il Pil reale è superiore alle previsioni, non così è per il Pil nominale, ossia per quello valutato ai prezzi correnti. Questo è al di sotto delle previsioni, e di un bel po’.
È difficile da digerire, soprattutto per i più anziani che sono abituati agli anni in cui il male era l’inflazione, e dunque il Pil reale era molto inferiore a quello nominale: se succede il contrario, non va bene, perché diventa insostenibile il nostro debito pubblico e per una serie di altri effetti a catena. Insomma, il nemico numero 1, in questi anni, è la deflazione, da noi come fuori. Bisognerebbe correre ai ripari, invece di crogiolarsi in un presunto miracolo, che a quanto pare ancora può attendere.
Roberta Carlini, Il Tirreno