Nella squadra del presidente i businessman hanno preso il sopravvento. E le dimissioni di Spicer possono assestare il colpo definitivo ai politici
A questo punto è chiaro che New York sta vincendo la sfida con Washington, dentro all’amministrazione Trump. Nel senso che la corrente degli uomini d’affari, di Manhattan o no, sta prevalendo su quella dei politici di professione. Il motivo non sta solo nella naturale affinità del presidente per i suoi simili, ma anche nella necessità di costruire una squadra che sia pronta a combattere per lui quando i nodi dell’inchiesta sul Russiagate arriveranno al pettine, trasformandosi in una sfida per la sopravvivenza contro il «deep state».
Trump aveva impostato la campagna presidenziale contro l’establishment repubblicano, e ha avuto ragione. Gli elettori che lo hanno scelto odiavano lo status quo, di entrambi i partiti, perché non combinava nulla sulle due questioni fondamentali per loro: la difesa dell’identità nazionale, a partire dalla lotta all’immigrazione illegale, e la disuguaglianza economica. Una volta eletto, era stato costretto a fare la pace quanto meno col suo partito, cercando di costruire un’amministrazione di compromesso. Il suo governo quindi era stato costruito su quattro pilastri: la famiglia, cioè la figlia Ivanka, il genero Jared Kushner, i figli Eric e Don un po’ gelosi del cognato, la fedelissima portavoce Hope Hicks che viene dalla Trump organization, come l’assistente digitale Dan Scavino; i militari, ossia il capo del Pentagono Mattis, quello dell’Homeland Security Kelly, il consigliere per la sicurezza Flynn, rimpiazzato poi da McMaster; gli uomini d’affari, quindi il consigliere Bannon, il segretario di Stato Tillerson, quello al Tesoro Mnuchin, ai Commerci Ross, e il consigliere economico Cohn; i politici di professione, cioè il capo di gabinetto Priebus, il segretario alla Giustizia Sessions, il portavoce Spicer.
Dopo sei mesi di governo, gli equilibri sono mutati. La famiglia resta la roccia insostituibile, nonostante i guai combinati da Don junior con i russi, e i limiti dimostrati da Jared e Ivanka. I militari funzionano, a parte qualche frizione col rigido McMaster, che alle volte spinge Trump a rimpiangere Flynn. I politici sono in caduta libera, con le dimissioni di Spicer che potrebbero preludere all’uscita di Priebus. Quanto a Sessions, è l’alleato della prima ora che aveva dato credibilità politica a Donald, ma nessuno è stato demolito in pubblico come lui, nella recente intervista del presidente col «New York Times». Gli uomini d’affari, invece, sono in rialzo. Scaramucci a capo delle comunicazioni è l’ultima aggiunta, mentre Cohn ha acquistato un ruolo più ampio di quello di consigliere economico, e adesso è candidato alla guida della Fed. Tillerson ha avuto qualche attrito quando i funzionari della Casa Bianca hanno cercato di imporgli la linea, ma resta intoccabile. Mnuchin sta lavorando alla riforma fiscale, e se riuscirà a farla approvare dal Congresso diventerà un eroe, regalando a Trump la vera vittoria a cui tiene più di tutto. Bannon è in ribasso, in lite con Kushner, ma è un caso a parte, mentre molto potere lo ha accumulato Dina Powell, anche lei alunna di Goldman Sachs, come Cohn, Mnuchin, Bannon e Scaramucci.
In altre parole, Donald ha provato a tendere la mano ai politici di professione, ma non amarli è più forte di lui. Del resto è stato eletto come protesta contro l’establishment, e diventarci amico potrebbe costargli sul piano elettorale. Circondarsi di banchieri non dà esattamente l’impressione che stia «prosciugando la palude», come aveva promesso in campagna elettorale, ma è più perdonabile perché rientra nella sua immagine di outsider che si circonda di persone forgiate dai risultati concreti ottenuti nel settore privato.
Ma c’è un’altra ragione profonda per cui la corrente di New York sta prevalendo su quella di Washington. Trump ha capito che sta andando allo scontro con Mueller. Pur essendo repubblicano, il procuratore per lui rappresenta la reazione del «deep state», ossia l’apparato burocratico dello Stato che vuole abbatterlo. Solo fuori da Washington, quindi, pensa di poter costruire la squadra di outsider leali e combattenti, che lotteranno per lui senza riserve quando dovrà battersi per la sopravvivenza.
Paolo Mastrolilli, La Stampa