Fino a poco tempo fa vantava una valutazione di 3 miliardi di dollari, dopo aver raccolto in totale quasi un miliardo di dollari di finanziamenti; oggi è ufficialmente in liquidazione. La parabola discendente di Jawbone è stata rapida, ma non sorprendente. L’azienda era nata nel 1999 come AliphCom. Prima di cambiare nome sviluppava soluzioni audio per il mercato militare, per poi passare agli speaker Bluetooth che ne decretarono il successo nella seconda metà dello scorso decennio. Infine, nel 2011, la scelta di investire tutto sul mercato dei wearable. Una decisione che, a sei anni di distanza, si è rivelata controproducente.
Nonostante i buoni numeri di vendita registrati dai braccialetti smart della serie Up, Jawbone ha dovuto fare i conti, più e più volte, con le mille difficoltà della produzione hardware: dai problemi alle batterie ai difetti di produzione, gli incidenti di percorso sono stati tanti, forse troppi, e hanno segnato il destino del marchio e dell’azienda.
A contribuire al declino di Jawbone è stato anche il veloce cambiamento del mercato dei wearable. La fascia bassa del mercato, quella dei tracker privi delle funzionalità avanzate degli smartwatch, è stata velocemente saturata da prodotti cinesi a basso prezzo capaci di offrire caratteristiche analoghe (se non talvolta superiori, come nel caso delle Mi Band di Xiaomi) a quelle dei dispositivi di Jawbone.
L’Ad e fondatore dell’azienda, Hosain Rahman, ha già dato vita a una nuova startup, Jawbone Health Hub. La compagnia offrirà supporto ai clienti dei prodotti Jawbone che hanno ancora diritto all’assistenza e si concentrerà sullo sviluppo di servizi hardware e software legati alla salute. Buona parte dei dipendenti di Jawbone hanno seguito Rahman e sono già stati assunti dalla nuova azienda.
Nel 2015 Jawbone aveva trascinato in tribunale i concorrenti di Fitbit, accusati di aver trafugato segreti industriali e violato alcuni brevetti sulla raccolta di dati biometrici. Una prima parte del procedimento si è conclusa a metà del 2016 con una vittoria per Fitbit, che nel frattempo aveva fatto causa a sua volta (poi ritirata alla fine dello scorso anno). A oggi una parte del processo, relativa al furto di segreti industriali, è formalmente ancora aperta.
Il Secolo XIX