Il report dell’Istat: le principali politiche redistributive nel periodo 2014-2016 hanno diminuito le disparità tra i redditi. Ridotto anche il rischio di povertà. Con l’intervento dello Stato avvantaggiati i più anziani, penalizzate le coppie giovani. E il bonus lanciato dal governo Renzi ha premiato soprattutto le famiglie con redditi medio-alti
Mentre la crescita mostra i primi segni di ripresa, la politica economica del governo ha contribuito in questi anni a ridurre le disuguaglianze all’interno delle diverse fasce di reddito. È quanto emerge dal rapporto Istat sulla redistribuzione dei redditi in Italia, che evidenza in particolare l’effetto benefico di alcune delle misure principali introdotte negli ultimi anni. “Le principali politiche redistributive del periodo 2014-2016 (bonus di 80 euro, aumento della quattordicesima per i pensionati e sostegno di inclusione attiva) – scrive l’Istat – , hanno aumentato l’equità della distribuzione dei redditi disponibili nel 2016 (l’indice di Gini è passato dal 30,4 al 30,1) e ridotto il rischio di povertà (dal 19,2 al 18,4%)”.
L’indagine mette in evidenza proprio l’effetto del complessivo degli interventi dello Stato nella riduzione dell’indice di Gini, il dato che misura in percentuale o in una scala da 1 a 100 il livello di disuguaglianza presente all’interno della popolazione (in cui 1 rappresenta il minimo e 100 il massimo). Nel 2016 – rileva l’istituto di statistica – “l’intervento pubblico, realizzato attraverso l’imposizione fiscale e contributiva ed i trasferimenti monetari, ha determinato una riduzione della diseguaglianza di 15,1 punti percentuali dell’indice di Gini: da un valore di 45,2 punti misurato sul reddito primario a uno di 30,1 in termini di reddito disponibile”.
In altre parole, la progressività delle aliquote fiscali, le pensioni e tutti gli altri trasferimenti dello Stato destinate alle fasce più deboli hanno come di consueto contribuito a livellare le disuguaglianze presenti tra le varie fasce di reddito. Nel dettaglio – rileva ancora l’Istat – “Le pensioni e gli altri trasferimenti pubblici hanno avuto un impatto redistributivo di 10,8 punti, maggiore rispetto a quello determinato dal prelievo di contributi sociali e imposte (4,3 punti)”.
Scrive l’Istat: “Dopo la redistribuzione, il rischio di povertà fra gli anziani scende al 17,1% per i singoli, in maggioranza vedove, e al 9,9% per le coppie. Al contrario, le coppie giovani, con e senza figli minori, e quelle adulte con minori, dopo l’intervento pubblico risultano più esposte al rischio di povertà, che aumenta in misura contenuta. I giovani singoli e i monogenitori con figli minori – si spiega – sono i meno tutelati dal sistema di welfare: dopo l’intervento pubblico mostrano un rischio di povertà superiore al 30%”. Ma l’istituto si sofferma in particolare su alcune delle misure introdotte dai governi Renzi e Gentiloni che come detto oltre a contribuire alla riduzione dell’indice di Gini hanno anche fatto calare la quota di popolazione a rischio povertà. Se si considera il bonus 80 euro e l’aumento della quattordicesima ai pensionati i dati mostrano come il beneficio si riduca inevitabilmente in percentuale all’aumentare del reddito. D’altro canto però, sottolinea l’Istat, malgrado l’effetto finale positivo, del bonus 80 euro risultano avere beneficiato soprattutto le fasce di reddito medio alte (45,9%). Al contrario, per via della natura stessa del bonus che esclude chi guadagna meno di 8000 euro, i cosiddetti incapienti, e i non occupati, sono proprio le famiglie in fascia più bassa ad avere conosciuto meno l’effetto positivo del bonus (28,2%).
L’Istat annota infine come sia il Sostegno all’Inclusione attiva (SIA) la misura potenzialmente pensata per aggredire in modo più chirurgico il tema della povertà e delle disuguaglianze, avendo – si sottolinea – “un’efficacia redistributiva relativamente maggiore del bonus e della quattordicesima”. Tuttavia nell’anno passato non è stato possibile nemmeno impiegare la cifra messa da parte dal governo. La misura, si spiega, “ha raggiunto circa 210 mila famiglie, per un importo medio di 875 euro e una spesa complessiva non superiore ai 200 milioni di euro. Si tratta, peraltro, di effetti decisamente inferiori rispetto alle intenzioni del legislatore, poiché nel 2016 non si è potuto spendere l’intero stanziamento disponibile, pari a 750 milioni di euro”.
Flavio Bini, la Repubblica