L’eterno secondo che (forse) rinunciò a diventare Papa
L’arcivescovo di Genova, favorito in quattro conclavi, in quello del 1958 secondo l’Fbi rifiutò l’elezione perché il suo anticomunismo avrebbe messo a rischio i cattolici dell’Est
di CESARE LANZA
Il cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, nella storia della Chiesa resterà come un protagonista unico e irripetibile, per un singolare primato. È entrato quattro volte papa in conclave, come suol dirsi con uno slogan popolare: ovvero il candidato più forte e autorevole, tra tutti. E quattro volte è uscito cardinale.
Era mio amico. Un sacerdote rigoroso e coerente, intransigente e conservatore. Un uomo colto, sensibile, generoso, leale, rispettato e temuto. Per la sua apparente durezza, era da molti mal giudicato, frettolosamente. Sulla base dei miei incontri diretti, non nego che potesse apparire aristocratico o addirittura altezzoso. Un principe rinascimentale, è stato definito. Ma la verità era, per me, un’altra: la sua superiorità era innata, non ricercata, si avvertiva subito una fede nobile, interiore, di fondo, insieme con la sua qualità fondamentale, la consapevolezza di essere un custode, tanto umile quanto rigido, non solo dei valori migliori della tradizione cattolica, ma più semplicemente del messaggio di Cristo. In primo luogo la capacità della rinuncia, la mortificazione di sé e delle proprie umanissime tentazioni e debolezze. Ecco perché ritengo credibile la convinzione di alcuni studiosi, che affermano che Siri non solo quattro volte entrò papa in conclave, ma addirittura fu eletto e rinunciò, acconsentendo alla richiesta di altri cardinali, elettori in numero minoritario.
Ero ovviamente, e sono, tutt’altro rispetto allo storico vescovo genovese. E prima di rievocare quei quattro conclavi, credo sia divertente confidarvi come nacque il nostro rapporto di rispetto e di amicizia. Era il 1978 e dirigevo, a Genova, Il Lavoro. In una riunione di redazione, tentando di galvanizzare i cronisti, dissi che bisognava tentare soprattutto le imprese diffìcili, ad esempio mi sarebbe piaciuto pubblicare un’intervista con Siri. Silenzio assordante. Il cardinale era considerato inavvicinabile. Un giovane praticante, beffardo, mi disse: «Perché non ci provi tu, direttore?». La sfida doveva essere raccolta! Feci il numero della curia e al telefono venne un assistente del cardinale. Un po’ sussiegoso, mi disse: «Posso escludere che sua eminenza la riceva». Sotto gli occhi ironici e curiosi della redazione, scandii: «Con tutto il rispetto, non le ho chiesto la sua opinione. Le ho chiesto di trasmettere la mia richiesta, all’arcivescovo, di un incontro per un’intervista, e di darmi gentilmente la sua risposta». «Ah, se è così, le
faccio sapere subito: sua eminenza è qui, nel suo studio». Passò qualche minuto interminabile: era in gioco la mia reputazione… Poi l’assistente tornò al telefono e mi disse: «Sua eminenza l’aspetta qui domattina alle 9». L’indomani, fu un’esperienza indimenticabile. Non baciai né la pantofola, figuriamoci!, né l’anello. Dissi subito che dirigevo un giornale di tradizione socialista, non avevo il dono della fede (mi interruppe subito dicendomi «Proverò io a illuminarla, ma senza pressioni») e aggiunsi che avevo però molto rispetto per la Chiesa perché mio zio, Antonio Lanza, era stato arcivescovo di Reggio Calabria, scomparso giovanissimo nel 1950. A quel punto Siri si illuminò e proruppe: «Antonio Lanza suo zio? Ma noi due siamo stati compagni di studio, amici, e nominati arcivescovi insieme! E tre anni dopo lui sarebbe certamente diventato cardinale, con me». Espresse una stima illimitata, quasi gioiosa. «Era un pozzo di scienza! Lui sì, se fosse vivo, sarebbe stato un ottimo papa!». Mi parlò a lungo di mio zio, affettuosamente, e poi mi disse che si fidava istintivamente di me e mi avrebbe parlato in piena libertà, a patto che io non scrivessi nulla. Quello fu il primo di tanti incontri. Seguivo Siri con attenzione, ne scrivevo spesso, godevo della stupefazione degli operai del Lavoro, di sana convinzione socialista, anticlericale. Dai giornalisti mi arrivavano i commenti dei tipografi: «In 50 anni, mai visti tanti preti da queste parti…». In effetti era un viavai; giovani sacerdoti che venivano a cercare copie arretrate, a volte qualcuno chiedeva di incontrarmi. Ma più divertente fu questo scambio tra due vecchi operai. «Ma u Lanza non c’è stamattina?». «Che ne so, magari è andato da u Siri». «Ma che ci avranno in comune, quei due?». «E che ne so. Di sicuro sono due figli di buona donna, tutti e due!». Con rispetto delle mamme, naturalmente, aggiungo io. Ed eccomi ai quattro conclavi. La prima volta fu nell’ottobre del 1958, alla morte di Pio XII, di cui Siri era un perfetto e devoto pupillo. Si racconta che una volta Siri gli disse: «Santità, da quando i papi scrivono encicliche descrivono il mondo più o meno così… Ingravescentibus malis, te prope adfinem vertente saeculo (la crescente pressione degli empi alla fine della svolta del secolo, ndr). Ma per fortuna il mondo va avanti e la Chiesa è sempre viva!». Pio XII, che gli aveva chiesto qualche riflessione, scoppiò in una schietta risata. In conclave, dove entrò favoritissimo come suo naturale successore (Pio XII lo aveva indicato esplicitamente, prima di morire) Siri fu bloccato dagli antagonisti facilmente: era troppo giovane (aveva appena 52 anni) !Questo, secondo le versioni ufficiali. In realtà, la verità fu ben altra: Siri fu eletto subito, al terzo scrutinio e addirittura la folla in piazza San Pietro vide con entusiasmo una fumata bianca… Che in breve diventò grigiastra e infine scura. E anche al quarto scrutinio Siri ebbe la maggioranza dei voti.
Cos’era dunque successo? Alcuni cardinali gli espressero il timore – Siri era noto per il suo assoluto anticomunismo – di rappresaglie verso i cattolici dell’Est. E lui rinunciò senza esitazioni all’elezione. Lo attesta, tra l’altro, un rapporto segreto dell’Fbi. Fu eletto il patriarca di Venezia Angelo Roncalli, molto anziano, col nome di Giovanni XXIII. E con Roncalli, aperto a sinistra e a iniziative innovative, non ci fu un bel rapporto. Ma padre Raimondo Spiazzi racconta un aneddoto. Una volta il pontefice, che aveva intenzione di ricevere Alexei Adjubei (genero di Nikita Kruscev, capo dell’Urss) chiese a Siri un parere sull’opportunità, temendo una risposta sfavorevole. Invece la folgorante battuta di Siri fu: «Ma lo riceva, santità! Sappiamo bene che quando cercano noi preti, vuol dire che sentono avvicinarsi la fede!».
Poi ci fu Paolo VI, al quale Siri fu vicinissimo perché gli era evidente – così risulta – il carattere tormentato, infelice del pontefice. Un episodio importante del loro rapporto ci fu quando Paolo VI scrisse l’enciclica Populorum progressio, nel 1967. Siri f u consultato come fidato esperto di economia e bocciò il testo con schiettezza, suggerendo numerose modifiche, addirittura osservando che sembrava un documento di un parroco. Il Papa non lo ascoltò e l’enciclica puntualmente fu accolta da aspre critiche in tutto il mondo. Paolo VI invocò il sostegno di Siri e Siri, fedelissimo e istituzionale comunque lo difese.
Anche in quel conclave, 1963, che aveva portato all’elezione di Paolo VI, il candidato di Genova era entrato papa e uscito cardinale. E per la seconda volta si imposero i cardinali che sostenevano la pericolosità della nomina di Siri per l’intransigenza della sua linea anticomunista . E non diversi furono i conclavi per l’elezione di papa Albino Luciani, che assunse il nome di Giovanni Paolo I, nell’agosto del 1978, e subito, dopo soli 33 giorni di pontificato, di Giovanni Paolo II. Siri – come di consueto favoritissimo – sfiorò l’elezione in tutte due le occasioni. La prima volta era in vantaggio sul patriarca di Venezia – 25 voti contro 23 – ma poi prevalse ancora la prudenza dei tradizionalisti. Più complesso il successivo conclave, in ottobre, dopo la morte misteriosa e improvvisa di Luciani. Secondo indiscrezioni, raccolte da insigni vaticanisti come Giancarlo Zizola e Benny Lay, a Siri mancava solo un pugno di voti, appena quattro o cinque. Un giornalista bene informato, Sebastiano Messina, racconta che Siri fu bloccato dalla contrapposizione di Giovanni Benelli, allievo di Paolo VI. Così i cardinali, all’ottavo scrutinio, si diressero su Karol Wojtyla. Alla vigilia avevo incontrato Siri, che si era sfogato sugli orientamenti che stava prendendo la Chiesa, raccomandandomi di riferire molto sobriamente il suo pensiero. Qualche giorno dopo però uscì La Gazzetta del popolo, con le sue clamorose dichiarazioni – che riconobbi come veritiere, simili a quelle che mi erano state affidate. L’articolo secondo gli accordi doveva essere pubblicato dopo l’apertura del conclave e invece fu anticipato: molti porporati ne furono turbati e influenzati.
Siri a 75 anni si dimise per ragioni di età. Era il 1981, ma Wojtyla lo stimava moltissimo e accettò le dimissioni solo nel 1987, quando le condizioni fisiche del vescovo genovese erano ormai insostenibili. Gli scrisse una lettera con straordinario affetto ed eloquente stima, Siri ne fu orgoglioso e la rese pubblica. Due anni dopo si spense.
Progressista 0 conservatore? Siri ha dichiarato di non voler essere catalogato in nessuno dei due modi. «Preferisco che di me si pensi che sono un uomo indipendente, che ragiona con la sua mente». E così mi è apparso, sempre, nei nostri incontri. E infine: anticomunista? Direi proprio di sì. Ma umanamente aperto di fronte ai problemi di tutti, onesto e intelligente. Non a caso i portuali di Genova, i celebri camalli, lo vollero come mediatore nella loro più dura lotta sindacale. La verità è che il cardinale – figlio di un domestico e di una portinaia – era comunque vicino a chi si trovava in una condizione di bisogno, Ciriaco De Mita ha raccontato di aver incontrato a Genova Siri, che lo apostrofò dandogli del «birbante» e gli disse: «Non sono i comunisti, ci preoccupano i socialisti». Non ho motivi per dubitarne , ma posso portare una testimonianza della sua libertà di mente. Quando II Lavoro entrò in difficoltà – avevo sciaguratamente accettato di assumermi non solo la direzione, ma anche la responsabilità finanziaria – andai da Siri, oltre che da Bettino Craxi, per chiedere il loro sostegno: per trovare una cordata, che rilevasse la testata. Siri fu concreto, decisivo. In poche parole, fu prezioso per assicurare la sopravvivenza del quotidiano, bandiera socialista. Vero è che, un paio di anni dopo, il giornale fu acquisito dal gruppo L’Espresso, che di certo socialista non era. Ma Siri come poteva immaginarlo?
di Cesare Lanza, La Verità