di Cesare Lanza
Scommettiamo che Luca Lotti, salvato in Senato, non ha affatto vinto e chiuso la sua partita, ma ha perso un’opportunità preziosa per avvicinarsi alla sensibilità della gente comune? Con un serio danno, a mio giudizio, per sé e per il suo partito. Non mi riferisco alla vicenda giudiziaria, che farà, come si dice con una frase stucchevole, il suo corso. Il problema è l’assoluto distacco tra l’opinione pubblica e la classe politica.
Mi concedete una civetteria? Nel primo numero di questo giornale, a settembre del 2016, la mia scommessa fu temeraria, ma azzeccata: scommisi che Matteo Renzi non avrebbe mangiato il panettone a Palazzo Chigi. E così è stato. A settembre il premier sembrava ancora vincente. Ma io avevo fiutato il vento montante dell’ostilità, grazie a un metodo semplice, i miei sondaggi con tassisti, macellai e pescivendoli, fruttivendoli, portinaie e, soprattutto, giovani: disoccupati e studenti. Dopo tre anni, ormai erano emerse l’inerzia del governo, l’arroganza di Renzi e la sua propensione ai proclami, alle promesse, alle bugie. Oggi ecco un nuovo significativo episodio di incomprensione e rifiuto, da parte della gente (che voterà ed esprimerà la sua indignazione, come è stato il 4 dicembre). La carriera politica di Luca Lotti non si illumina, ma si intristisce, di fronte al verdetto del Senato che lo ha salvato dalla sfiducia, chiesta dai grillini, dai leghisti e da una parte della sinistra. Non era in discussione l’indagine, era una questione di sensibilità. E, come il coraggio, chi non ce l’ha non se la può dare.
di Cesare Lanza, La Verità