Scommettiamo che, purtroppo, anche quest’anno Totò, il più grande attore comico italiano d’ogni tempo, non avrà i riconoscimenti che meriterebbe? Faccio riferimento a quest’anno perché ci sarebbe una ricorrenza opportuna: Totò, nato a Napoli il 15 febbraio 1898, morì 50 anni fa a Roma, il 18 aprile 1967. Il suo destino fu singolare. I critici, come spesso succede ai critici, stentarono a riconoscere la sua qualità. Mentre la sua popolarità cresceva in misura impressionante di anno in anno. Al suo funerale, a Napoli (dove aveva chiesto di essere sepolto) a salutarlo si raccolsero 200.000 persone. Totò lavorò con i più grandi attori della sua epoca, che si adattarono a fargli da spalla: Peppino De Filippo e Aldo Fabrizi, Nino Taranto e Gianni Agus, Erminio Macario e Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni e Walter Chiari, Fernandel e Renato Rascel. Con un tale carisma da essere rispettato affettuosamente da tutti (perfino da Pier Paolo Pasolini, che lo diresse in Uccellacci e uccellini) come il Principe che non era: aveva acquistato il titolo nobiliare, lui figlio di padre ignoto, per sopperire ai complessi che la nascita umile gli aveva inflitto. Con un un biglietto da visita interminabile: Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno PorfiroGenito Gagliardi de Curtis di Bisanzio. Mi viene l’orticaria al pensiero che il premio Nobel sia andato a Dario Fo e non a lui, autore di Malafemmena e di un capolavoro universale come A livella. Penso che la sua comicità sia eterna: oggi, rivedendo i suoi film, si ride come negli anni Cinquanta. Da anni si pensa di
dedicargli un museo, a Napoli. Se ne parla, se ne parla Ma, incredibilmente, non si fa.
di Cesare Lanza, La Verità