di Cesare Lanza
Da Tortora a Cicciolina, apprezzavo il coraggio e la cocciutaggine di certe battaglie. Però era autoritario: impossibile interromperlo quando attaccava a comiziare
Un giorno lontano, nel 1979 (38 anni fa!) mi vidi piombare in redazione Marco Pannella. Ci conoscevamo appena, però c’era simpatia. Non lo aspettavo, fece irruzione nel mio ufficio sorridente ed energico, come sempre. All’epoca dirigevo un settimanale, che si chiamava Contro. Visse gioiosamente e splendidamente alcuni mesi, l’editore era Saro Balsamo, un uomo fantastico, re della stampa pornografica.
Saro aveva intuito le colossali potenzialità del settore ed era, in sintesi, il padrone assoluto del mercato.
Poi, aveva deciso di nobilitarsi, diciamo così, e si era rivolto a me per lanciare un settimanale di attualità politica, di ribellione assoluta, contro tutto e contro tutti, difatti si chiamava Contro. Per intenderci, è come se i 5 stelle oggi volessero lanciare un periodico in grado di promuovere i loro «vaffa». Balsamo non era un politico, aveva intuito tuttavia il malessere -pensate, già da allora – diffuso tra la gente verso la Casta, che allora esisteva ma non si chiamava così. Mi diede un ottimo ingaggio, mi consentì di assumere i giornalisti e i collaboratori che volessi, mi diede carta bianca: meglio di così, niente! Riuscimmo addirittura a superare la diffusione dell’Europeo, rilanciato nello stesso periodo dalla Rizzoli. Il mio vice direttore era Piero Dardanello, tra i collaboratori figuravano Renzo Arbore e Gianni Brera…
Mesi felici, ripeto, senza riguardi per nessuno. E però, dopo qualche mese, all’improvviso Balsamo decise di chiudere, di colpo, liquidandoci tutti senza avarizia. Perché? Non ho prove, ma grazie a qualche spiffero mi convinsi che qualcuno a cui avevamo rotto i cabbasisi lo avesse chiamato e gli avesse dato una toccatina, in codice, alla siciliana: «Fai miliardi con il porno e noi chiudiamo gli occhi… A che ti serve questo settimanale rompi scatole?». Di più: eravamo certamente avanti di dieci o vent’anni, quindi suscitavamo irritazione e scalpore. Indro Montanelli mi aveva ammonito tante volte: “Un grande giornalista non deve essere mai né indietro né avanti rispetto all’epoca in cui vive”. Lo dico senza ironia: Non sono un grande. Di più: non ero abbastanza aspro e violento, come le esigenze del giornale richiedevano.
Che c’entra, tutto questo, con Pannella? Marco era deliziato dal giornale, e questo me lo aveva già detto. Quando fece irruzione e me lo trovai davanti, mi puntò un dito in faccia e sentenziò: «Tu non lo sai, ma sei un radicale sputato. Ti offro di entrare nelle nostre liste elettorali e puoi esser sicuro che ti farò eleggere! ». Ebbi solo un attimo di esitazione: Leonardo Sciascia, a cui ero legato profondamente da una stima che forse non ho mai provato per nessun altro, proprio in quei giorni era stato invitato da Pannella a entrare nella sua lista, e aveva accettato. Poi, scoppiai a ridere: «Grazie Marco, ma non ho mai pensato di entrare in politica, non sarei all’altezza». E, come si dice in questi casi, aggiunsi: «Se un giorno dovessi cambiare idea, mi metterei a tua disposizione, sicuramente». Finì con una lunga chiacchierata e con un abbraccio. Mi sono sempre chiesto, senza una risposta, perché Pannella mi avesse dimostrato quella stima, riferita alle stramberie, polemiche, del giornale. Forse perché era l’unico politico tra i grandi dell’epoca – Pertini, Andreotti, Berlinguer, Craxi… con alcuni ero anche personalmente amico! – che non avessimo messo nel mirino. E mi sono chiesto tante volte come sarebbe cambiata la mia vita, se avessi accettato la candidatura. Certamente, non ho dubbi, sarei rimasto soggiogato e coinvolto dalla trascinante personalità di Pannella. A quel tempo, mi era simpatico e lo stimavo. Poi, seguendolo e qualche volta rivedendoci, via via mi affezionai sinceramente. Apprezzando i suoi grandi meriti e sorvolando sugli evidenti difetti. Cosa mi piaceva? L’audacia nel proporre certe candidature: quella, sacrosanta, di Enzo Tortora per salvarlo dall’ingiusta detenzione per imputazioni (droga) non credibili; e anche quella, stravagante, di Ilona Staller, in arte Cicciolina (eletta deputata nel 1987 con ventimila preferenze, seconda solo a lui). Mi piaceva, dico di più: mi galvanizzava il fatto che Marco, se si metteva in testa qualcosa, si impegnava cocciutamente e, alla fine, la spuntava. Come era successo per il suo più celebre successo: l’introduzione del divorzio nella società italiana, che pareva, democristiana fino al midollo, assolutamente ostile e imbattibile. Ma avevo intravisto Marco, e anche scambiato qualche parola con lui, quando era poco più che un giovanotto e faceva parlare di sé, non ancora parlamentare, con manifestazioni davanti al Parlamento, insieme con pochi suoi scalmanati seguaci, per sostenere non solo il divorzio, ma una gran quantità di inesistenti, allora, diritti civili. Non m’importava un fico secco, anzi!, che i giornalisti gli fossero contrari e perfino lo deridessero e lo considerassero un estraneo alla politica convenzionale: più o meno come succede oggi verso i grillini. Non m’importava un fico secco che, ogni tanto, qualcuno mi ricordasse con ironia che Marco nel ’46, appena tredicenne, s’impegnava ad attaccare manifesti a favore della monarchia, nelle strade del quartiere di piazza Bologna, dove abitava. I manifesti, pare, erano fogli di protocollo scritti a mano, in caratteri maiuscoli. In seguito, mi piacquero i suoi continui digiuni (140 calorie al giorno), anche se non mi sfuggivano le esagerazioni, mirate a ottenere la grancassa dei giornali e della televisione. Mi piaceva e basta: credo, soprattutto, per la palese passione che esibiva in ogni provocazione, quando arrivava a farsi arrestare, anche all’estero, per protestare contro questo e quello. Nella chiacchierata, per me memorabile, di quel remoto 1979, non ricordo come e perché, entrammo nel merito delle abitudini e delle nostre preferenze sessuali. Marco m’interrogò con ironia, poi di fronte alle mie banalità reticenti, non ebbe problemi a dirmi che aveva sedotto decine e decine di donne, e gli era anche piaciuto conquistare alcuni pochi? – maschietti. Non mi scandalizzai affatto, e questo gli piacque. Di recente, nelle recenti commemorazioni dopo la sua morte (19 maggio 2016) ho letto che in un’intervista aveva dichiarato di aver fatto l’amore con 400 donne, e non aveva escluso i rapporti omosessuali. Al ricordo del ’79, ho pensato che queste ammissioni, o le battute, facessero parte del suo repertorio, almeno nelle confidenze con chi gli era simpatico. Nessuno, invece, ha approfondito un’altra sua dichiarazione, un po’ criptica: «Ho avuto un figlio, forse due». Se n’è andato a 86 anni e fino all’ultimo ha fatto la vita che desiderava. Sregolata. Fumava senza moderazione: 100 sigarette Celtic al giorno, negli ultimi anni 60 sigari toscanelli: «Sono toscanelli alla grappa, ho cominciato quando Bruxelles ha messo il divieto alle Celtic, le mie sigarette preferite. Ne ho fumato 100 al giorno per una vita. Ora fumo questi, aspirandoli. Proprio perché non voglio morire continuo a fumare! Se dovessi smettere, resterei secco. Non voglio suicidarmi. È stato il fumo a impedire al mio corpo di ammalarsi». Quando non digiunava, mangiava e beveva senza limiti, spaghettate e tutto ciò che potesse fargli male. I medici sono rimasti senza parole di fronte alla sua resistenza, alla tenuta fisica di quel gigante, afflitto negli ultimi tempi da micidiali malattie. Cosa non mi piace? Forse, gli eccessi di autoritarismo: per quarant’anni è stato padrone assoluto, e incontrastato e inesorabile, del partito radicale.
Non mi è piaciuto il litigio ultimo con Emma Bonino, per la quale ho nutrito e tuttora provo la stessa tenerezza che ho avuto per lui. A volte mi metteva a disagio la sua ben nota verbosità: era difficile interloquire, interromperlo. Lo invitai un paio di volte a Domenica in, i conduttori si trovarono a disagio, non riuscivano ad arginare i suoi interminabili comizi. Mi lascia anche, presumo non solo a me, una certa amarezza dover leggere notizie sui contrasti fra i radicali di oggi, il presunto sfratto a Emma Bonino e a Radio Radicale («un patrimonio dell’intero Paese, non solo dei radicali»), vari conflitti per problemi economici. Non posso evitare di pensare ai tempi aurei in cui Marco, in perfetto accordo con Emma Bonino e Adele Faccio, era protagonista invidiato, ammirato e temuto sulla scena politica. So bene che è stato attaccato, anche dopo la morte, con perfidie e violenza per i suoi eccessi: anche nell’uso, per non dire lo sperpero, del denaro e dei sostegni economici, che riusciva a trovare con facilità, dai suoi ammiratori. Di queste, chiamiamole così, donazioni e sponsorizzazioni non faceva mistero, con l’innocenza che lo rendeva diverso da tutti gli uomini politici. Una estraneità al denaro, singolare: nessuno ha mai insinuato che potesse ricambiare i suoi sostenitori, con favori o altre concessioni. Nessuno, neanche i suoi nemici. E ne aveva, mi dispiace ricordarlo, tanti. Mi dispiace perché ricordo il veleno verso di lui da parte di personaggi che stimo: Luciana Castellina, ad esempio, arrivò a definirlo «il peggio del peggio, un voltagabbana nato». Perché? Perché Pannella si era avvicinato a Silvio Berlusconi. E Massimo D’Alema: «Un guitto, un caso doloroso: beve whisky la mattina».
Come avrete visto, se mi avete seguito sin qui, la penso diversamente. E mi piaceva anche il candore bonario con cui rispondeva alle frecciate: «Credo che a sinistra mi vogliano addirittura bene. Mi impiccherebbero, ma con amore», confidò una volta a Gian Antonio Stella.
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Cesare Lanza, La Verità