Renzi: nessun aumento delle accise. La manovra di correzione si allontana
C’è Renzi che dice no a nuove tasse. Un ministro (Delrio) che teme le conseguenze politiche della privatizzazione dell’Alta velocità. Il presidente dell’assemblea (Orfini) chiede «più Stato nell’economia e una Cassa depositi e prestiti più interventista», un altro ministro (Orlando) vuole «lo scorporo dal fiscal compact delle spese sociali». Roma, ieri, sala della Direzione Pd.
Ci sono tutti: maggioranza e opposizione, sottosegretari e parlamentari. In prima fila siedono Paolo Gentiloni e Pier Carlo Padoan. Il clima è surreale. Mentre l’Europa ribadisce la sua richiesta di aggiustamento da tre e più miliardi all’Italia, il principale partito di maggioranza al governo manda un messaggio piuttosto chiaro. L’aria che si respira prima e dopo al Tesoro dice molto: fino a ieri mattina si attendevano le nuove stime europee per capire se avrebbero dato un aiutino al governo a caccia di risorse. Dopo la direzione Pd c’è chi si chiede se la manovra correttiva si farà davvero, quantomeno nelle dimensioni e nei numeri promessi per iscritto.
«Caro Pier Carlo, la procedura di infrazione va evitata, ma i 3,4 miliardi non si recuperano aumentando le tasse. Ci vuole un disegno che consenta di continuare sulla strada della crescita». In apparenza Renzi si mostra cauto, eppure il no a qualunque aumento di imposta suona come un de profundis. La Commissione ieri ha dato una mano al governo aumentando di due decimali la stima di crescita del 2016: potrebbe valere uno sconto sulla manovra di circa quattrocento milioni. Ma due esponenti della maggioranza di governo che chiedono di non essere citati sono netti: «Senza aumenti di imposte arrivare a quella cifra sarà impossibile». All’Europa Padoan aveva promesso un miliardo e mezzo di nuove entrate. Ora quella strada è definitivamente sbarrata.
La diatriba sulla manovrina assume sempre più i contorni di un gioco delle parti far Roma e Bruxelles. Il commissario francese agli Affari monetari ribadisce che «l’Italia ha tempo entro fine aprile» e che non esiste «nessun ultimatum». Non potrebbe fare diversamente, visto che nelle previsioni della Commissione si dà per scontato che anche quest’anno la Francia segnerà un deficit ben più alto di quello italiano, al 3,1 per cento. In ogni caso il dossier torna nel cassetto almeno fino al 10 aprile, il termine entro il quale il governo deve approvare il Documento di economia e finanza per il 2018.
Nel suo discorso Renzi accenna ad alcune voci con cui finanziare l’aggiustamento, ma in maniera molto generica. Parla dell’ipotesi webtax, pur ricordando che funzionerebbe solo a livello europeo. Il primo ad essere contro sarebbe il presidente della Commissione Juncker, ex premier del Lussemburgo dove hanno la residenza fiscale molte aziende tecnologiche. Renzi si dice poi favorevole a rafforzare alcune misure contro l’evasione, salvo ricordare i cinque miliardi di maggior incassi (da 14 a 19) appena sbandierati dall’Agenzia delle Entrate.
Quando parla di privatizzazioni poi è per ricordare quelle «fatte male», come Telecom e Ilva. Sul palco il ministro delle Infrastrutture Delrio è ancora più esplicito. Prima si rivolge «con rispetto a Padoan», poi direttamente a «Matteo». Racconta di aver appena finito di confrontarsi con il collega sottosegretario alle Comunicazioni Giacomelli: «Lui deve privatizzare le Poste, io dovrei farlo con le Frecce». Delrio teme che la privatizzazione dei treni a lunga percorrenza provochi nuovi aumenti delle tariffe: «Ho problemi a prendermi le critiche dei pendolari e dirgli: scusate è il mercato». Applausi.
Insomma, la presenza di Padoan in Direzione sembra fatta apposta per fargli ascoltare tutte in una volta le critiche alla linea di politica economica subita fin qui da Bruxelles. Per l’impassibile ministro tenere insieme i pezzi non sarà facile. Lo pensa del resto anche l’Europa: basta scorrere la tabellina nelle previsioni invernali dedicata all’andamento del «deficit strutturale», quello che non tiene conto del ciclo economico e delle componenti temporanee: -1,6 nel 2016, -2 nel 2017, -2,5 per cento nel 2018. Detta più chiaramente: a Bruxelles sono convinti che a meno di una manovra lacrime e sangue anche nel 2018 l’Italia accumulerà nuovo deficit per svariati miliardi. Un misto di pessimismo e forse di realismo su quel che il governo potrà fare in autunno in ossequio alle regole europee.
Alessandro Barbera, La Stampa