La pacifica Svezia ha deciso di ripristinare il servizio obbligatorio militare, che nella nuova versione si estenderà indifferentemente a maschi e femmine. La decisione, non particolarmente sofferta, malgrado la tradizionale neutralità del Paese, è una reazione alla rinnovata aggressività territoriale russa—un fattore costante nella millenaria storia scandinava.
Gli svedesi avevano abolito la naia solo sette anni fa, tardi rispetto alla scelta di molti altri stati europei come la Francia, l’Italia, il Belgio e l’Olanda, che hanno tutti soppresso l’obbligo negli anni ‘90. L’altro ritardatario è stata la Germania. Ha abbandonato la leva solo nel 2011.
Nel commentare la notizia, l’editorialista del quotidiano economico francese Les Echos, Jacques Hubert-Rodier, ha osservato che in Svezia c’è un generale accordo sul fatto che quella scelta si sia rivelata fallimentare: i volontari non sono sufficienti al fabbisogno, né per il reclutamento dei militari in servizio effettivo né dei riservisti. Secondo il generale Klas Eksell, il responsabile delle Risorse umane dell’Esercito svedese citato dal giornale, i soldati in servizio effettivo sono attualmente 5.325 sui 6.600 necessari, mentre i riservisti sono solo 3.875 sui previsti 10.400.
La difficoltà a costituire delle forze armate efficienti—e sufficienti—basate unicamente su professionisti volontari è un problema in tutta l’Europa, specialmente da quando gli Usa hanno cominciato a dire che sarebbe ora che il Continente cominciasse a badare a se stesso. Gli americani sono in guerra da qualche parte ininterrottamente da 15 anni e i loro pensieri, come le armi e gli eserciti, sono altrove.
Il paradosso è che solo negli Usa parrebbe che la rinuncia alla leva sia, almeno per ora, irrevocabile. Lì è stata “sospesa”—non pienamente abolita—a partire dal 1973. Permane l’obbligo formale a che i giovani maschi comunque si registrino per una possibile chiamata alle armi. Il tentativo politico di estendere la registrazione alle donne nel nome della parità tra i sessi è invece fallito, sconfitto da una curiosa alleanza tra conservatori per cui “il posto della donna è in cucina, non in guerra” e femministe che comprensibilmente cercano la parità più sul lato privilegi che obblighi.
La reintroduzione della leva è inoltre osteggiata dall’Establishment militare Usa, poco incline ad affidare la conduzione della nuova guerra tecnologica a degli svogliati temporaneamente militarizzati a forza di legge. “Non puoi prendere un teenager appena diplomato e dargli in mano un attrezzo da sei milioni di dollari”, spiega un dirigente del Selective Service System, l’ente che amministra la registrazione alla leva.
Infine, dopo l’esperienza del Vietnam, il ritorno della naia negli Usa è ancora improponibile dal punto di vista politico, tant’è che un pezzo forte delle “fake news” usate contro Trump dai Democratici—quella spada tagliava nei due sensi—è stato la distribuzione di un falso servizio in cui l’allora candidato repubblicano si dichiarava intenzionato a riesumare il servizio militare d’obbligo.
Se la preclusione anti-naia è altrettanto forte in un paese come l’Italia, istituzionalmente pacifico ma pieno di giovani disoccupati, è un’altra questione. Nel caso, è forse immaginabile un’evoluzione graduale, forse attraverso la creazione di un servizio “umanitario”, potenzialmente trasformabile in, diciamo, “un’altra cosa” davanti a un’emergenza nazionale. La Svezia lo ha fatto chiamandolo per nome…
James Hansen